Acca Larentia, le braccia tese e la placenta di chi ci governa
Commenti In un ordine mondiale in cui Trump si prepara al ritorno e Milei brandisce la motosega, le schiere ordinate dei fascisti di Acca Larentia sono l’altra faccia delle stravolte masnade vichinghe dall’assalto del 6 gennaio a Capitol Hill
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Diciamo tutti: è uno scandalo che la Digos intervenga minacciosamente per identificare un cittadino che grida «Viva l’Italia antifascista» e non muova un dito davanti a centinaia di fascisti che manifestano minacciosamente a braccio alzato nelle strade di Roma. Io non ci vedo nessuna contraddizione: l’intimidazione poliziesca (non solo a Milano alla Scala, ma anche a Roma al Colosseo, per un flash mob contro la guerra indetto dal Laboratorio ebraico antirazzista o a piazza San Pietro, pochi giorni fa, a cinque persone con uno striscione per la pace) sta nella stessa logica della truculenta sceneggiata fascista ad Acca Larentia. Certe volte è giusto che gli scandali avvengano, così capiamo qual è la grammatica del nostro tempo.
La prima regola è una regola di vigliaccheria: le forze dell’ordine sono sempre pronte a prendersela col singolo, i cinque, i venti pacifici e pacifisti. Ma quando sono centinaia, e pronti a menare le mani, se ne stanno inerti nel loro angoletto. Il messaggio di quelle braccia tese è proprio questo: facciamo quello che ci pare, saccheggiamo la Cgil, e non ci potete fermare. Provate a liberare il palazzo occupato di CasaPound e ve la dovrete vedere con noi. È, letteralmente, la proclamazione di un rapporto di forza, il segno di dove sta il potere.
La seconda regola riguarda l’impulso profondo delle cosiddette forze «dell’ordine» e dell’ideologia di chi le comanda. Il disordine sta sempre nella spontaneità, mai nell’inquadramento. Di nuovo, la colpa del loggionista della Scala è proprio quella di essere uno: se uno tira fuori la voce quando nessuno dice niente (sia pure per dire quello che tanti pensano, e che teoricamente è l’ideologia ufficiale della Repubblica) è un disturbo, una smagliatura nell’estetica del cerimoniale. Se alzano tutti il braccio a comando, se gridano presente all’unisono, se stanno in fila allineati e coperti, se delegano i pensieri al credere obbedire e combattere, allora sono come noi, specchio rituale di una società disciplinata una volta per tutte.
La terza regola è: finiamola di chiedere ai loro mandanti di prendere le distanze. Giorgia Meloni è una creatura di questa gente, e questa gente è una creatura sua. Se non c’era anche lei insieme a loro, è solo per caso. Sono i suoi elettori, la sua placenta, e lei li rappresenta al vertice delle istituzioni. Ma davvero vogliamo credere che il suo postfascismo «moderato», «atlantico» e «responsabile» possa essere un argine e non un canale di accesso ? Ha ragione Schlein, siamo al 1924: l’anno in cui, tra Giacomo Matteotti e i suoi assassini, Benito Mussolini rivendicò spudoratamente da che parte stare.
L’ultima regola: l’ossessione per l’ordine è a sua volta segno di follia. In un ordine mondiale in cui Trump si prepara al ritorno e Milei brandisce la motosega, le schiere ordinate dei fascisti di Acca Larentia sono l’altra faccia delle stravolte masnade vichinghe dall’assalto del 6 gennaio a Capitol Hill. Fateci caso: è appena passato l’anniversario, forse ieri si celebrava anche questo.
Post scriptum. A me dispiace per quei poveri ragazzi ammazzati ad Acca Larentia tanti anni fa. Quale che fosse la loro ideologia, la loro memoria non merita questo.
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