Ogni 7 gennaio da quarantasei anni a questa parte Acca Larentia, la sede del Msi nascosta ai piedi di un condominio del quartiere medio-borghese del Tuscolano davanti alla quale nel 1978 vennero uccisi tre giovani missini, diventa un luogo topico della galassia fascista e post-fascista. Quel cortile, in fondo a una rampa di scale sul quale adesso si affaccia un supermercato, per un giorno si trasforma in un sacrario della memoria nera. Uno spazio dentro il quale i camerati dimenticano litigi, contese per l’egemonia, divisioni decennali. Ci vanno tutti: dagli ex di Alleanza nazionale che sono passati dalla svolta di Fiuggi ai militanti dei gruppi più estremi. Fino a due anni fa era un’habitué anche Giorgia Meloni. In queste ore riemergono sue foto (correva l’anno 2008) in compagnia di Giuliano Castellino, fresco di condanna a più di otto anni per l’assalto alla Cgil del 2021. Tuttavia, da quando è diventata presidente del consiglio la leader di Fratelli d’Italia salta l’appuntamento ed evita anche di ricordare l’evento sui suoi profili social.

CIÒ NON TOGLIE che gli eventi del 7 gennaio restino la cartina di tornasole dello stato dell’estrema destra italiana. Qui, negli anni recenti, si è misurata la portata di passaggi politici e mutamenti di fase. Sullo sfondo, è andato in scena quel «culto dei morti» che nel nome dei «camerati caduti» ha tenuto in filo nero tra figure all’apparenza inconciliabili. Domenica scorsa, ad esempio, davanti alla gigantesca croce celtica di Acca Larentia si è presentato Fabio Rampelli, per rivendicare la conquista di Palazzo Chigi da parte di un partito che discende in linea diretta con il Msi. Il che, ha sostenuto il vicepresidente della Camera, rappresenta il riscatto storico, la «vittoria». Non bisogna dimenticare che lo stesso Rampelli, una delle figure storie della destra romana, dall’inizio legislatura chiede che si istituisca una «commissione d’indagine sugli anni di piombo».

IN MATTINATA si è presentato anche il presidente della Regione Lazio Francesco Rocca, in compagnia dell’assessore alla cultura del comune di Roma Miguel Gotor. Qualche saluto romano alla spicciolata, qualche gruppetto che ha intonato tre volte il «Presente» come da tradizione. Tutto ciò prima del raduno serale, quando il cortile si è riempito per la coreografica messa in scena del saluto collettivo e delle urla, braccia al cielo, in nome delle tre vittime del 1978. È questa l’immagine che ha fatto il giro di mezzo mondo e che, ad esempio, ha condotto il corrispondente da Roma della Bbc Mark Lowen ad aggiungervi questa didascalia: «Italia, 2024: il saluto romano nel cuore della capitale. Un paese che non ha mai attraversato una ‘de-fascistizzazione’ postbellica come ha fatto la Germania, e dove la glorificazione del fascismo è in qualche modo ancora accettata».

INSOMMA, anche se Meloni (quest’anno) non c’era, la commemorazione ha acceso le polemiche e messo sotto i riflettori il partito della premier, che ancora una volta non riesce a fare i conti con il passato. Le opposizioni (tutte: dai renziani fino alla sinistra) chiedono che Meloni si esprima e che la giustizia proceda. Da Fratelli d’Italia parla di «solita ipocrisia della sinistra» che «finge solo oggi di scoprire la commemorazione». «Utilizzare il ricordo della tragica morte di tre ragazzi ammazzati dall’odio comunista per fare bieca propaganda è squallido e vigliacco». La Digos fa sapere che invierà un’informativa alla procura per ricostruire quanto avvenuto. A quel punto, una volta ricevuto il rapporto di polizia, i magistrati valuteranno se aprire un fascicolo sulla vicenda. In polemica con l’apparizione di Rocca, la consigliera Pd del Lazio Eleonora Mattia ha presentato una proposta di legge per l’inserimento dei riferimenti alla Resistenza e all’antifascismo nello Statuto regionale. Il M5S ha presentato un esposto alla procura. Insorge anche la comunità ebraica romana. «Il saluto romano è un insulto e un oltraggio inaccettabile, in particolare alla memoria di tutte le vittime del nazi-fascismo – sono le parole del presidente Victor Fadlun – Quel gesto per noi significa lutti e sofferenze che si rinnovano attraverso le generazioni. È un controsenso ritenere che possa essere un omaggio adeguato a una commemorazione».