In quest’anno significativo per il calendario civile, l’interesse di questo bel libro di Jacopo Perazzoli – Angelo Filippetti, l’ultimo sindaco di Milano prima del fascismo (Biblion, pp. 284, euro 24) – potrebbe risiedere nella complessa vicenda, ricostruita con rigore, in cui le istituzioni burocratiche, il prefetto Lusignoli e il Corriere della Sera operano attivamente di fronte alla debolezza dei governi centrali per accerchiare l’amministrazione socialista della città all’avanguardia dello sviluppo economico e finanziario fiancheggiando i fascisti fino all’occupazione di palazzo Marino (3 agosto 1922), sanzione violenta dell’opera di crumiraggio esercitata dagli stessi fascisti nello sciopero legalitario di pochi giorni prima.

Si tratta evidentemente del culmine tragico della vicenda di quell’amministrazione che aveva esordito nel novembre del 1920 nell’entusiasmo del successo socialista e dello stesso Filippetti. Ma l’interesse di questa ricerca è ben più ampio e generale per almeno due ordini di ragioni. Si tratta infatti della biografia di una personalità originale e caratteristica al tempo stesso come ricorda nella postfazione il pronipote Andrea Jacchia.

MA QUESTA BIOGRAFIA, nei suoi percorsi professionali e politici disegna i contorni della prosopografia di una comunità sociale e politica che – ed è questo il secondo, essenziale motivo di interesse – ci consente di rileggere le grandi questioni di quegli anni, che vedono il confronto e lo scontro fra riformisti, massimalisti e comunisti, in forme non riconducibili al semplice conteggio dei voti delle diverse mozioni dei congressi.

Filippetti, laicissimo figlio di una famiglia di proprietari terrieri cattolici, fece parte fin dagli studi e poi dalla pratica della medicina di quello che possiamo definire un vero e proprio movimento. Quello dei medici, dei fisiologi, degli statistici studiosi dei bilanci famigliari e della fatica che a Milano aveva i suoi punti di riferimento principali nell’Umanitaria. Filippetti contribuì alla fondazione dell’ordine dei medici e, nel 1919, di fronte all’orientamento nazionalista prevalente, alla creazione della Lega dei medici socialisti. Lo schieramento intransigente contro la guerra costituisce la chiave per comprendere il percorso di Filippetti nel Psi e la sua vicenda di consigliere e di sindaco.

DA POSIZIONI di pacifismo umanitario influenzate da Teodoro Moneta, Filippetti attraverso l’opposizione alla guerra di Libia e alla Grande guerra radicalizza le sue posizioni e dal rapporto stretto anche umano con dirigenti come Turati e Treves si avvicina alla sinistra del partito grazie al contrasto a qualsiasi apertura al sostegno della difesa nazionale diventando così il sindaco sostenuto da una convergenza fra i massimalisti e i «centristi». Egli continuò l’opera della giunta Caldara nella politica fiscale, nell’attenzione agli aspetti (alimentari, abitativi, di carovita) della vita quotidiana dei ceti popolari accentuando almeno due aspetti qualificanti, il positivo rapporto coi lavoratori dipendenti pubblici e una interpretazione – aborrita dal Corriere – del Comune non solo come organismo amministrativo ma come organismo politico in lotta contro lo stato borghese.

LA GIUNTA FILIPPETTI qui ricostruita analiticamente nelle sue vicende ereditò il pesante bilancio degli anni di guerra e perseguì una generosa politica sociale secondo la tradizione del socialismo municipale insieme ad ambiziosi progetti per la grande Milano, giudicati dall’opposizione e dall’opinione pubblica liberale uno spreco a danno dei ceti privilegiati. L’uso da parte di questi ultimi dei fascisti nell’illusione di normalizzarli trovò nel bivacco fascista a palazzo Marino un’anticipazione della marcia su Roma.

Filippetti, vicino ai massimalisti, ma mai fino al punto di rompere definitivamente con uomini e donne che avevano contribuito alla sua formazione, ci ricorda che il massimalismo ha espresso le passioni, speranze e mentalità di tanti lavoratori protagonisti del dopoguerra, convinti che il loro potere si potesse affermare con una pressione sulle forme di rappresentanza, con nuovi organismi e senza mettere in discussione l’unità politica socialista. Sono vicende che andranno ripercorse con sguardo innovativo e questo bel libro ne è un esempio.