Marcia delle bandiere, violenze diffuse non solo da gruppi isolati
Gerusalemme Il ministro della difesa Gantz punta il dito contro i fanatici di Lehava e La Familia. Ma aggressioni e intimidazioni nella città vecchia e nella zona Est contro i palestinesi sono state compiute da simpatizzanti di partiti di destra alla Knesset. E il governo ha voluto a tutti i costi la marcia all'interno delle mura antiche.
Gerusalemme Il ministro della difesa Gantz punta il dito contro i fanatici di Lehava e La Familia. Ma aggressioni e intimidazioni nella città vecchia e nella zona Est contro i palestinesi sono state compiute da simpatizzanti di partiti di destra alla Knesset. E il governo ha voluto a tutti i costi la marcia all'interno delle mura antiche.
Dopo aver insistito affinché la «Marcia delle Bandiere» passasse per la Porta di Damasco, la città vecchia e Gerusalemme Est, per riaffermare la «sovranità di Israele su tutta la città» nel 55esimo anniversario dell’occupazione del settore arabo, ieri il ministro della difesa Gantz ha provato ad addossare a gruppetti di fanatici, come Lehava e La Famiglia (tifosi razzisti del Betar Gerusalemme), la responsabilità di aggressioni, violenze e slogan anti-arabi che hanno segnato l’intera giornata di domenica quando 70mila israeliani di destra sono scesi verso le mura antiche e la Città Vecchia – ripulita della presenza palestinese – per celebrare il «Giorno di Gerusalemme». Secondo Gantz è giunto il momento di designare La Familia e Lehava come «organizzazioni terroristiche». Anche il premier Bennett e il ministro degli esteri Lapid hanno condannato le mele marce. Troppo facile puntare l’indice contro pochi fanatici ben noti che, comunque, da anni agiscono liberamente sebbene siano accusati di attacchi incendiari a chiese e scuole arabo-ebraiche, di istigazione all’odio razziale e di intimidazioni alle coppie miste e agli omosessuali. Domenica non erano solo Lehava e La Famiglia a dare sfogo agli istinti più bassi. Ad urlare di tutto alla Porta di Damasco sono stati migliaia di giovani simpatizzanti di formazioni «legittime» della destra, rappresentate alla Knesset.
L’ong Activestills ha sottotitolato e diffuso nei social un video con gli slogan scanditi in massa domenica. «Shireen (la giornalista uccisa Abu Akleh, ndr) è una puttana», «Maometto è morto», «Morte agli arabi», «Possa bruciare il tuo villaggio (arabo, ndr)», «Il campo (profughi) Shuaffat è in fiamme». La polizia è intervenuta solo in un paio di occasioni. Invece è scattata quando un palestinese di mezz’età è arrivato alla Porta di Damasco sventolando ouna bandiera della Palestina. Apriti cielo. Di fronte a questa «provocazione» sette-otto agenti lo hanno afferrato, malmenato e trascinato via. Poco prima un piccolo drone, con la bandiera palestinese, aveva sorvolato la Città Vecchia prima di essere abbattuto elettronicamente. Domenica la polizia ha trovato il modo di arrestare 50 palestinesi – in buona parte sulla Spianata della moschea di Al Aqsa, teatro di scontri al mattino – ma non è andata oltre qualche breve fermo per gli israeliani responsabili di violenze ed intimidazioni. Due giorni fa, considerando le proteste contro la marcia organizzate in Cisgiordania, sono rimasti feriti da proiettili o intossicati dai gas lacrimogeni 137 palestinesi, secondo i dati della Mezzaluna Rossa. Feriti anche cinque poliziotti.
I leader israeliani hanno ripetuto che la «Marcia delle bandiere» non è una iniziativa nuova e che si svolge tutti gli anni nel «Giorno di Gerusalemme». Ma mai è stata segnata da tanti incidenti, tafferugli, intimidazioni e violenze come domenica scorsa. A caricare le migliaia di simpatizzanti e militanti della destra è stato il significato oltremodo nazionalistico che Bennett e Gantz hanno dato alla ricorrenza. Incuranti delle risoluzioni internazionali che sanciscono lo status di Gerusalemme come città occupata, diversi membri del governo hanno ripetuto in coro «Marceremo ovunque vorremo nella nostra capitale». Per dimostrare, hanno spiegato, di non aver timore di possibili reazioni di Hamas che, un anno fa, nella stessa occasione, sparò razzi verso Gerusalemme. Questa volta il movimento islamico non ha reagito da Gaza ma ha fatto capire che la rappresaglia scatterà dalla Cisgiordania. La marcia inoltre non è rimasta confinata alla città santa. Circa duemila coloni israeliani hanno sfilato nelle strade del settore H2 di Hebron. E una grossa manifestazione si è svolta a Lod, teatro un anno fa di gravi violenze tra ebrei e palestinesi.
Negli anni precedenti gli organizzatori della marcia avevano provato a contenere i canti razzisti dei partecipanti. Quest’anno tutto è stato ribaltato e i partecipanti e i loro leader hanno voluto anche mettere in discussione lo status quo della Spianata di Al Aqsa, considerata dagli ebrei il Monte dove sorgeva il biblico Tempio. Domenica 2600 ebrei, il numero più alto dal 1967, sono entrati nella Spianata. Molti di questi, in violazione delle regole stabilite dalla Giordania – custode di Al Aqsa – e accettate da Israele, hanno pregato e issato le bandiere. Alcuni sono entrati in cortili privati scontrandosi con i proprietari. Altri hanno battuto con forza su porte di case e negozi arabi. Un’anziana ha alzato le braccia in risposta alle imprecazioni ed è stata aggredita con spray al peperoncino e calci. Ferito un giornalista palestinese. A sera dozzine di estremisti hanno attaccato case e auto a Sheikh Jarrah. I palestinesi hanno risposto lanciando pietre. Un ebreo è rimasto ferito. No ministro Gantz, le violenze di domenica non sono responsabilità solo di Lehava e La Familia.
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