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Mao alle Guardie rosse: «Chi resiste sarà annientato»

Mao alle Guardie rosse: «Chi resiste sarà annientato»L'immagine è di Tian Taiquan

Il documento Nel luglio 1968 Mao Zedong incontra le Guardie rosse a Pechino. Un confronto che il Timoniere volle registrato e che porrà fine alla furia dei «giovani ribelli». Un pezzo di teatro, il cui «autore» sono i suoi stessi «personaggi». Una molteplicità di figure soggettive che s'incontrano nel momento finale della situazione politica in cui è radicata la loro esistenza

Pubblicato più di 8 anni faEdizione del 19 maggio 2016

Nelle primissime ore del 28 luglio 1968, i personaggi più noti della turbolenza soggettiva che nei due anni precedenti aveva investito le condizioni fondamentali della politica in Cina si incontrarono in un lungo e drammatico faccia a faccia, del quale fu deliberatamente tenuta una trascrizione cosi minuziosa che vi sono annotate perfino le intonazioni emotive dei dialoghi.

Ben più che il verbale di una riunione, un pezzo di teatro, si potrebbe dire, il cui «autore» sono i suoi stessi «personaggi»: una molteplicità di figure soggettive che s’incontrano nel momento finale della situazione politica in cui è radicata la loro esistenza. Dal giorno dopo, la situazione sarà completamente diversa: le Guardie rosse non esisteranno più come organizzazioni indipendenti, e nei mesi successivi saranno completamente dissolte, con conseguenze che inevitabilmente si ripercuoteranno anche su Mao e sui suoi alleati.

A fronteggiarsi, in un sala di riunioni di Zhongnanhai erano, da un lato, Mao e il «Gruppo centrale incaricato della Rivoluzione Culturale», cioè il ristretto gruppo di dirigenti centrali rimasti politicamente attivi negli ultimi due anni (gran parte dei vertici del partito-stato era rimasto paralizzato fin dall’estate 1966); dall’altro, i cinque principali dirigenti delle organizzazioni delle Guardie rosse delle università pechinesi.(…)

Sensibile ai dettagli soggettivi, la trascrizione dell’incontro rende accuratamente, fin dalle prime battute, lo stile degli interventi e le relazioni fra i personaggi. Meriterebbe citazioni più ampie, ma almeno alcuni passaggi di questo denso e lungo pezzo di «teatro documentale» vanno riportati per esteso. Seguire in modo ravvicinato l’intrecciarsi di questi dialoghi è una buona introduzione al groviglio della materia. Ecco l’inizio fedelmente riportato da questo straordinario documento, testimone al tempo stesso parte integrante della scena conclusiva.

(Nie Yuanzi, Tan Houlan, Han Aijing e Wang Dabing (quattro dirigenti delle Guardie rosse) entrano nella sala della riunione. Il Presidente si alza in piedi e va a stringere loro la mano uno ad uno).

Presidente: Tutti così giovani! (stringe la mano a Huang Zuozhen (dirigente militare) Sei Huang Zuozhen? Non ti avevo mai incontrato prima; non eri stato ucciso?

Jiang Qing: (Rivolta ai quattro dirigenti delle Guardie rosse). E molto che non ci vediamo. Ora non affiggete più manifesti a grandi caratteri.

Presidente: (Rivolto alle quattro Guardie rosse) Ci siamo visti solo una volta, a Tian’anmen (nell’estate del 1966), ma allora non fu possibile parlare. E stato male. Voi, se non succede qualcosa d’importante, non salite mai al Palazzo di Triratna (cioè: non venite mai a trovarmi). Però ho letto i vostri giornali e conosco la vostra situazione. Kuai Dafu (un altro leader studentesco) non è venuto. Non può venire o non vuole venire?

Xie Fuzhi (del Gruppo centrale): Temo che non voglia venire.

Han Ajjing: Non può essere così. Se ora Kuai sapesse che c’è una riunione col gruppo della Rivoluzione culturale del Comitato centrale, e che lui non può incontrare il Presidente, sarebbe in lacrime. Sono sicuro che non è in grado di venire.

Tra i dirigenti delle Guardie rosse, a parte Nie Yuanzi. quadro del Dipartimento di filosofia di Beida e autrice del celebre «primo dazibao» della Rivoluzione culturale, che ha oltre quarant’anni, gli altri quattro hanno poco più di vent’anni. Il Mao settantacinquenne, che si alza a stringere la mano a ciascuno di loro, esordisce con un «Come siete giovani!», quasi sorpreso da qualcosa che certamente sa bene, ma che nondimeno dovrà tenere in seria considerazione nel rivolgersi a loro.

Il «palazzo di Triratna» (Sanbaodian, dal nome di una «trinità» buddhista – i «tre gioielli»: il Buddha, la Legge e la Comunità dei monaci) è uno di quei riferimenti colti letti con piglio «popolare» con cui Mao amava colorare il suo stile parlato, specialmente nel registro più polemico. Qui sembra voler attenuare con una battuta i rapporti gerarchici. Le parole rivolte a Huang Zouzhen («non eri stato ucciso?»), un dirigente militare che teneva i difficili collegamenti con i capi delle Guardie rosse e che aveva organizzato la loro venuta a Zhongnanhai, danno una misura del clima: gli scontri a Qinghua erano stati cruenti, e anche un «ambasciatore» come Huang aveva corso seri rischi.

In questo caso la battuta mira probabilmente a sdrammatizzare, esagerando. (…) Tuttavia il problema in discussione era come trattare quella situazione in quanto situazione politica, cioè non solo in termini di ordine pubblico (fu un raro esempio di soluzione fondamentalmente non militare di una crisi del genere), ma come esito di un processo soggettivo, che Mao così descriveva: Voi avete fatto per due anni la Rivoluzione Culturale, la lotta-critica-trasformazione. Adesso, primo, non state lottando, secondo, non state criticando, terzo, non state trasformando. Sì, state lottando, ma è lotta armata. Il popolo non è contento, gli operai non sono contenti, i contadini non sono contenti, gli abitanti di Pechino non sono contenti, nella maggioranza delle scuole gli studenti non sono contenti, compresi quelle delle vostre università.

Perfino all’interno della fazione che vi sostiene ci sono degli scontenti. Potete forse unire l’intero paese (tongyi tianxia, «unificare quel che è sotto il cielo») in questo modo?

(Rivolto a Nie Yuanzi) Nella «Nuova Beida» tu, «Vecchio Buddha» (Laofoye), hai la maggioranza. Tu sei filosofa, non dirmi che nella «Nuova Beida (Comune)» (la fazione maggioritaria) e nel Comitato Rivoluzionario dell’Università (sotto il controllo di Nie) non c’è nessuno contro di te. Non lo credo affatto! Non te lo dicono in faccia, ma alle spalle parlano molto male di te. (…)

Presidente: Siediti, siediti. Su questi problemi dovremmo essere un po’ flessibili. Dopotutto questi sono studenti, non bande criminali . Il punto è che le due fazioni sono prese con tutta l’anima nella lotta armata. Questa lotta-critica-trasformazione (dou-pi-gai) non sta funzionando. Forse ci vuole la lotta-critica-andar via (dou-pi-zou). Gli studenti cominciano a dire così: «lotta-critica-andar via», oppure «lotta-critica-dispersione» (dou-pi-san). Ora molti studenti fanno parte della lazione dei disimpegnati (xiaoyaopiii). La gente parla molto male di Nie Yuanzi e di Kuai Dafu. Nie non ha molta carne da cannone, e così anche Kuai, a volte trecento persone a volte centocinquanta. Si può fare un confronto con le truppe di Lin Biao o di Huang Yongshen? Questa volta con un colpo solo io ho mandato trentamila persone.

La formula «lotta-critica-dispersione» era un’aperta parodia dello slogan dei due anni precedenti «lotta-critica-trasformazione» (dou-pi-gai), con cui erano stati indicati gli obiettivi delle Guardie rosse nelle università.

Non fu mai ufficialmente citata, ma fu quella di fatto adottata: le fazioni furono «disperse», cioè furono dissolte le organizzazioni delle Guardie rosse, che del resto gran parte degli studenti avevano già abbandonato; e per la trasformazione dell’università, come vedremo, fu tentata una strada completamente diversa.

E’ notevole che in questa riunione, dove si stava cercando una soluzione politica, e non semplicemente militare, Mao sottolineasse spesso le relazioni soggettive che erano in gioco in quel momento, incluse quelle che si manifestavano nella riunione stessa.

Mao interruppe varie volte gli interventi più irritati degli altri membri del Gruppo centrale

Presidente: Alcuni dicono che gli annunci pubblici del Guangxi valgono solo nel Guangxi e quelli dello Shenxi solo nello Shenxi. Allora adesso io faccio un annuncio di carattere nazionale: chiunque continua ad attaccare con le armi l’Esercito di liberazione, a distruggere i mezzi di trasporto, a uccidere la gente e ad appiccare il fuoco, sta commettendo dei crimini. Coloro che non vorranno ascoltare la persuasione e continueranno in questi comportamenti sono dei banditi, degli elementi del Guomindang, e saranno arrestati. Se continuano a resistere saranno annientati.

Lin Biao: Attualmente alcuni sono gruppi di veri ribelli (rivoluzionari); ma altri sono banditi ed elementi del Guomindang che usano la nostra bandiera per ribellarsi. Nel Guangxi sono state bruciate mille case.

Presidente: Nell’annuncio (sulla cessazione degli scontri) si deve scrivere chiaramente e spiegare chiaramente agli studenti che se continuano (nella lotta armata) e non cambiano comportamento, saranno arrestati. Questo per i casi meno gravi. Nei casi più gravi, saranno circondati e annientati. Non era il Guomindang che agiva così? Questa è come l’agonia disperata dei nemici di classe. Bruciare le case è un grave errore. (…)

Han Aijing: Kuai Dafu sta cavalcando una tigre da cui non può scendere.

Kang Sheng: No, non è questa la situazione.

Presidente: Se non può scendere dalla tigre, allora uccidiamo la tigre.

(Articolo tratto da “L’assalto al cielo, a cura di Tommaso Di Francesco, Manifestolibri, 2005)

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