Il primo viaggio di Emmanuel Macron sarà a Berlino – e forse a Kyiv con Scholz – per discutere la risposta alla guerra in Ucraina. Il 9 maggio, il presidente francese sarà a Strasburgo, con un intervento all’Europarlamento per la fine della Conferenza sull’avvenire dell’Europa. Nel frattempo, La République en Marche (Lrem) deve pensare alle legislative del 12 e 19 giugno, per confermare la maggioranza.

Il Rassemblement national e La France Insoumise si preparano anch’esse al “terzo turno”, sperando entrambi di imporre una “coabitazione” al neo-eletto presidente. L’elettorato di Macron si è consolidato, ma l’idea di costruire un “grande centro” non convince: l’alleato MoDem non intende fondersi, mentre molti ambiziosi, come l’ex primo ministro Edouard Philippe che già pensa alle presidenziali del 2027, hanno fondato dei mini-partiti che intendono mantenere con una certa indipendenza. All’estrema destra, ci sono frizioni tra il Rassemblement national e Reconquête! di Eric Zemmour, un’alleanza è lontana: nel 2017, malgrado la presenza al ballottaggio di Le Pen, il partito di estrema destra, isolato, ha vinto solo 8 seggi all’Assemblée nationale. La destra dei Républicains sta esplodendo, dopo il crollo della candidata Pécresse sotto il 5%, cresce la corsa dei notabili verso Macron.

A sinistra, sono già in corso le trattative per un’unione sotto l’ala della France Insoumise e del suo programma. «Eleggetemi primo ministro» chiede Jean-Luc Mélenchon agli elettori. C’è fretta, l’Union populaire ha convocato una convenzione per le candidature nelle 577 circoscrizioni già il 7 maggio. Europa-Ecologia tratta, come il Pcf e l’Npa, mentre è previsto oggi un incontro con i socialisti, esclusi in primo momento, e la France Insoumise. Non è facile accettare che non ci siano liste Europa-Ecologia, Pcf, forse Ps, se La France Insoumise non intende integrare punti dei loro programmi, mentre restano profonde divisioni, dall’Europa alla politica internazionale, tra posizioni di sinistra giudicate «irriconciliabili» e che nella campagna elettorale hanno dato luogo ad attacchi molto duri.

Il governo Castex dovrebbe dimettersi, al più tardi all’inizio della prossima settimana. Macron nominerà un governo temporaneo, fino alle legislative: girano già dei nomi, dai ministri Julien Denormandie (Agricoltura) a Elisabeth Borne (Lavoro), ma non sono escluse sorprese, come nel passato sotto Macron. Il nuovo primo ministro avrà l’incarico di coordinare una «pianificazione ecologica», come promesso in campagna elettorale, una mano tesa agli ambientalisti, un’iniziativa pescata nel programma di Mélenchon.

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La principale preoccupazione espressa dall’elettorato popolare, che non ha votato Macron, è stata il potere d’acquisto: sono in preparazione vari interventi a breve, per indicizzare pensioni e salari sull’inflazione, per confermare il tetto all’aumento del gas, è allo studio un nuovo dispositivo sul prezzo della benzina, che potrebbe essere destinato ai grandi utilizzatori in difficoltà. Potrebbe venir erogato un “assegno alimentare”, mentre aumenti di salario temporanei verrebbero esentati dai contributi.

Dopo la rivolta dei gilet gialli, è chiaro a tutti che non è possibile far passare delle leggi ecologiste senza delle misure di protezione per le classi popolari. Per questo, Macron insiste sulla carbon tax ai confini dell’Europa, che concilierebbe misure verdi con la difesa degli interessi degli europei. Per l’autunno, sono previste proposte su scuola e sanità. Ma ieri è di nuovo ripartita la polemica sulle pensioni. Il ministro delle Finanze, Bruno Le Maire, che insiste sul fatto che c’è stato «un voto di adesione» sul programma di Macron, ha affermato che il governo potrebbe ricorrere al 49.3, cioè a una decisione per decreto, in fretta, per imporre un aumento progressivo (4 mesi l’anno) dell’età pensionabile, per arrivare nel 2028 a 64 anni. Una bomba, che risuona come una clamorosa smentita degli impegni presi da Macron sul «dialogo» necessario con le parti sociali e la società civile, che farà gonfiare i cortei del primo maggio.