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Mélenchon: «Siamo con i gilet e per il sovranismo, ma del popolo»

Mélenchon: «Siamo con i gilet  e per il sovranismo, ma del popolo»Jean-Luc Mélenchon con i gilet gialli durante una protesta a Parigi – LaPresse

Intervista «Tra i Trattati e la sovranità popolare scelgo quest’ultima. Ma è una posizione radicalmente diversa dai nazionalisti», il leader della France Insoumise, impegnato nelle elezioni europee, spiega la sua idea di sinistra tra Ue, immigrazione e «lotte sociali»

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 14 maggio 2019

La France Insoumise, formazione nata nel 2016 intorno alla campagna per le presidenziali di Jean-Luc Mélenchon, vuole rappresentare un modello fortemente innovativo di organizzazione politica a sinistra. Insieme a Podemos è la forza politica europea più accostabile al concetto di “populismo di sinistra”. Per approfondirne l’idea di partito, gli obiettivi politici e la fisionomia culturale, abbiamo intervistato Jean-Luc Mélenchon.

France Insoumise (Fi) è nata intorno alla sua candidatura alle presidenziali. A che punto è il processo di costruzione come forza politica?

Per capire cos’è Fi, bisogna partire dalla nostra definizione materialista di popolo. Nella teoria della “rivoluzione cittadina” il popolo è il principale attore della storia. Non è definito dalla coscienza che ha della propria esistenza, ma dalla sua posizione nell’organizzazione dei rapporti sociali. Questa posizione produce una coscienza collettiva specifica. Il popolo corrisponde alla massa di coloro che devono accedere alle reti sociali per potersi assicurare la propria esistenza materiale. Le modalità di accesso a queste reti definiscono i rapporti sociali dell’“era del popolo”. Una forma clientelare di reti sociali integrata all’economia di mercato o forme socializzate come la scuola gratuita producono gerarchie sociali differenti. Anche la distribuzione geografica della popolazione tra le città e al loro interno è una forma di discriminazione sociale. La forma di organizzazione politica di questo popolo resta da inventare.

Su un piano concreto, il movimento ha fatto molti passi avanti rispetto alle elezioni presidenziali. Il primo elemento significativo è l’organizzazione stabile del movimento, oggi pienamente impegnato nelle elezioni europee. La nostra lista è stata composta secondo un metodo inedito: un comitato elettorale composto al 60% da membri tirati a sorte tra gli aderenti a Fi. Ciò ha permesso la costituzione di una lista rappresentativa del popolo francese e delle sue lotte. Vogliamo costruire un soggetto politico che ricalchi la forma sociale del popolo.

Puntate molto su modelli di organizzazione innovativi. Che tipo di partito state costruendo?

Non siamo un partito ma un movimento, che plasmiamo in base alle esigenze dell’azione. Le strutture di base di Fi sono i gruppi di azione. Ce ne sono circa 4.000, e ciascuno è libero di crearne uno e di cambiarlo. Gli insoumis che li compongono decidono su cosa lavorare in una convention annuale delle campagne nazionali del movimento, e un’equipe operativa implementa le decisioni prese. Il gruppo parlamentare che presiedo anima la battaglia politica quotidiana, mentre i gruppi tematici garantiscono una relazione con settori specifici della società e con il gruppo parlamentare. Non c’è una direzione nazionale, né un comitato centrale. Non ce n’è bisogno. Per le questioni fondamentali, il nostro programma l’Avvenire in Comune e i suoi quaranta libretti tematici funzionano come riferimento comune. La maggior parte delle nostre attività sono supportate dalle applicazioni della nostra piattaforma, mentre due volte l’anno si riunisce un’assemblea rappresentativa del movimento di cui il 60% è estratto a sorte tra gli aderenti.

Come organizzate la vostra opposizione a Macron?

Fi è una forza presente contemporaneamente nelle istituzioni e nei movimenti sociali. Fin dall’inizio del mandato di Macron abbiamo organizzato manifestazioni di massa e, allo stesso tempo, siamo stati il gruppo di opposizione più attivo in Parlamento. Attualmente siamo impegnati in un processo di federazione delle rivendicazioni popolari. Non si tratta di cercare la convergenza dei vari apparati centrali, ma la convergenza dei militanti sindacali, politici, associativi, dei collettivi cittadini, dei gilet gialli. Proponiamo ai partiti legati agli interessi dei collettivi popolari di mettersi al loro servizio. È una formula totalmente nuova. La chiamiamo strategia della federazione popolare.

Il movimento dei gilet gialli è eterogeneo e difficilmente inquadrabile. Che idea ne avete e che relazione avete con loro?

Abbiamo sostenuto in modo costante il movimento, fin dal suo inizio. La vecchia sinistra tradizionale si è aggiunta solo successivamente. I sindacati sono rimasti a distanza. Molte rivendicazioni dei gilet gialli sono nel nostro programma, come il referendum di iniziativa cittadina, la progressività delle imposte e l’aumento dei salari. Questo movimento ha sorpreso gli osservatori perché ha preso le distanze da tutte le forme classiche di azione politica. Questo è caratteristico di ciò che noi chiamiamo rivoluzione cittadina, in cui ritroviamo le ondate democratiche degli anni 2000 in America Latina, le rivoluzioni arabe e l’insurrezione del popolo algerino. I gilet gialli sono oggetto d’una repressione feroce da parte di Macron. Più di 2.000 manifestanti sono stati feriti, 23 hanno perso un occhio, 5 una mano, c’è stato un morto.

A volte in Italia la Fi è presentata come vicina alle posizioni No Euro. Può chiarirci la vostra posizione sull’Europa?

Siamo per l’uscita dai Trattati europei. Questi Trattati impediscono gli investimenti necessari per la transizione ecologica, distruggono i diritti sociali e i servizi pubblici, mettono al di sopra di tutto il dogma della competizione, determinano un quadro in cui è impossibile realizzare politiche sociali ed ecologiche. Se noi dovessimo arrivare al potere nel nostro Paese avremo come obiettivo imprescindibile l’applicazione del nostro programma, e proporremo per l’Europa la fine di queste regole assurde. Tra i Trattati e la sovranità popolare sceglieremo la sovranità popolare. La nostra posizione è radicalmente diversa da quella dei nazionalisti. Ciò che noi proponiamo può essere condiviso da tutti i popoli d’Europa: priorità per l’istruzione pubblica, la sanità e l’ambiente. Il linguaggio dei diritti umani, del progresso sociale ed ecologico è universale. Del resto facciamo parte della coalizione europea «Adesso il popolo», che riunisce Fi, Podemos, Bloco de Esquerda, Alleanza rosso-verde danese, Partito di sinistra svedese e Alleanza di sinistra in Finlandia.

In Italia le posizioni della Fi sul problema di rifugiati e migranti sono state oggetto discussione, anche nella sinistra. Ci può chiarire la vostra posizione?

Queste incomprensioni vengono da calunnie propagandate in Francia sulla natura delle nostre posizioni. La nostra storia parla per noi. Sono il solo ad aver proposto un minuto di silenzio per i migranti annegati nel Mediterraneo durante la campagna delle presidenziali. Abbiamo un programma completo sull’immigrazione, che prevede la creazione di uno statuto per i rifugiati climatici e umanitari. Sono stato in prima linea per difendere l’accoglienza dell’Acquarius, a cui hanno impedito di attraccare sia Salvini che Macron. Ma l’esilio forzato di milioni di persone non è desiderabile, prima di tutto per loro. Bisogna guardare alle nostra responsabilità rispetto a questi spostamenti di intere popolazioni: lo sfruttamento economico della nostre aziende, gli accordi di libero scambio imposti ai paesi del Sud, le guerre della Nato.

La nostra politica è finalizzata alla possibilità che le persone non debbano partire da casa loro. Chi rivendica il diritto d’insediamento e l’abolizione delle frontiere non si pone il problema della ragioni per cui le persone partono, non gli importa che l’esilio delle classi medie istruite dai paesi di emigrazione sia un saccheggio di cervelli, e abbandona un principio essenziale dell’internazionalismo: il diritto di vivere e lavorare nel proprio Paese. Chi si prenderà la responsabilità di dire ai 400mila giovani greci, ai 500mila giovani spagnoli e al 20% della popolazione rumena costretti a lasciare il loro paese che tutto questo è una buona cosa?

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