L’Italia è tra i paesi dell’Unione europea che rischiano di registrare la ripresa più bassa l’anno prossimo. E, per una significativa differenza con la Commissione Europea sul modo di calcolare il deficit e il debito, il governo Meloni potrebbe essere costretto a rivedere le stime contenute nella legge di bilancio contro la quale Cgil, Uil e Usb hanno dichiarato i primi scioperi domani. In attesa dell’atteso, e temuto, responso del tribunale dei conti di Bruxelles sulla manovra – arriverà martedì prossimo 21 novembre – ieri il commissione Ue all’Economia Paolo Gentiloni con il vicepresidente della Commissione Valdis Dombrovskis hanno comunicato le più che incerte stime autunnali sull’economia europea.

La redazione consiglia:
Una legge di bilancio scritta sulla sabbia in un’economia di guerra

Le differenze tra le previsioni del governo e quelle della Commissione sono sensibili in particolare sulla crescita del 2024 (per la Ue il Pil sarà allo 0,9%, per l’esecutivo all’1,2%). Quest’anno la stima del governo è più alta di un decimale: 0,8% contro lo 0,7% di Bruxelles. Non è una questione da poco perché, se così fosse (ma potrebbe essere peggiore, vista l’estrema mutabilità della policrisi capitalistica) allora cambierebbe in maniera significativa il rapporto tra il Pil e il deficit. Nel 2024 per il governo e Bruxelles è simile: 4,3% e 4,4%, il problema sarà nel 2025 quando il deficit sarà ancora al 4,3% mentre per Meloni & Co. diminuirà al 3,6%. Vale a dire più vicino ai criteri di Maastricht in quello che dovrebbe essere il «nuovo» patto di stabilità e crescita che entrerà (forse) in vigore dal prossimo gennaio. Con una crescita asfittica dello zero virgola la richiesta di rientrare sotto il fatidico 3% spingerà il governo a tagliare e a prendere decisioni ancora più impopolari. Sensibile è anche la differenza tra le stime sul debito: se il prossimo anno cambiano poco (140,6% per l’Ue; 140,1% per il governo), si registrerebbe una distanza nel 2025 (più alto per l’Ue: 140,9%; più basso per il governo: 139,6%). In sostanza, poco cambia. Nella prospettiva del ritorno del patto, questa non è una buona notizia. La Commissione Ue potrebbe chiedere interventi pluriennali più decisi per tagliare il debito, bloccando la residuale capacità del governo di gestire una politica economica.

La redazione consiglia:
Manovra, il governo aumenta tasse, tagli e illusioni fiscali

Di tutto questo il ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti si è mostrato consapevole quando, davanti alle commissioni parlamentari riunite per le audizioni sulla manovra, ha detto che le stime sulla crescita saranno più basse di quelle preventivate dal governo. E ciò comporterebbe una revisione del testo. Il suo auspicio era quello di non presentare emendamenti alla manovra. Un maxi-emendamento potrebbe arrivare dalle crisi in corso. O da Bruxelles.

La redazione consiglia:
Mannaia Meloni-Giorgetti: tagli ai comuni, bilanci a rischio e cala la spesa sanitaria

Non è una questione di «numeretti». Un decimale mobilita miliardi di euro nel bilancio pubblico. Non aiuta il governo la differenza del modo con il quale Bruxelles guarda alla manovra. Gentiloni ieri ha detto che il costo degli interessi sul debito pubblico sarà più alto di quello calcolato dal governo (è uno degli effetti dell’aumento dei tassi di interesse deciso dalla Bce contro l’inflazione). La Commissione Ue, inoltre, ha calcolato nelle stime su deficit e debito la permanenza – non scontata – del taglio del cuneo fiscale per il 2025 (per il 2024 il governo ha stanziato oltre 10 miliardi in deficit). Ma è tutto da vedere se, in tali condizioni, a Roma troveranno i soldi anche per l’anno prossimo. Si è anche scoperto che il governo ha spacciato per «permanente» (così ha detto Gentiloni) un taglio al cuneo fiscale che non lo è. Infine la Commissione Ue ritiene che i salari cresceranno di più rispetto a quanto stimato dal governo. Significa che quest’ultimo scommette sui bassi salari.

Per Gentiloni il Pnrr risolleverà la crescita. Tuttavia i gravi ritardi nel raggiungimento degli obiettivi, le forti incertezze sul pagamento della quarta rata e sull’approvazione delle 144 modifiche al Piano possono dissolvere l’ultima speranza in un modello economico in ginocchio