Quando la seconda legge di bilancio targata governo Meloni sarà approvata diversi comuni dovranno scegliere come chiudere i bilanci previsionali, se aumentare le tariffe o ridimensionare o chiudere del tutto i seguenti servizi: assistenza agli anziani, trasporto pubblico, servizi mensa e, dove ci sono, politiche della casa o sociali. Sarà questo l’effetto devastante dei tagli agli enti locali, a cominciare dai comuni, pari a 600 milioni di euro all’anno nei prossimi cinque (2024-2028). La quota maggiore, 350 milioni, è stata chiesta alle Regioni che dovranno però escludere dai tagli al Welfare e alla sanità; i Comuni perderanno 200 milioni; Province e città metropolitane dovranno fare a meno di 50 milioni. Sono tagli lineari, fanno parte dei 2 miliardi di euro complessivi chiesti nella prossima manovra dal ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti all’amministrazione pubblica. Solo i ministeri dovranno rinunciare al 5% dei loro bilanci.

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IL RITORNO di una lunghissima stagione di austerità che, in realtà, non è mai passata – salvo l’illusorio periodo emergenziale del Covid – è stato denunciato ieri, tra gli altri, dal delegato Anci alla Finanza Locale Alessandro Canelli (sindaco di Novara) durante l’ultima tornata di audizioni sulla manovra in corso davanti alle commissioni bilancio di Camera e Senato: «I comuni sono colpiti dal fenomeno inflattivo che ha portato maggiori costi su tutti i settori – ha detto – Con il taglio paventato nel disegno di legge di bilancio i 200 milioni annui di riduzione, ora previsti per cinque anni, si andranno ad aggiungere ai 100 milioni di taglio della spending review già stabilita da leggi precedenti per il triennio 2023-2025. Confidiamo che nel corso dell’esame parlamentare l’impatto sulle risorse correnti possa essere mitigato se non invertito. Senza una riflessione più attenta sulla finanza locale saranno molti i comuni non in grado di chiudere i bilanci».«A meno che non si aumentino le tariffe, ma non tutti possono farlo e poi andrebbe a carico dei cittadini».

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«SONO TAGLI PESANTISSIMI, il governo cambi rotta – ha detto Michele de Pascale, presidente dell’Unione delle province italiane (Upi) – La legge di bilancio è assolutamente incoerente con l’indirizzo del governo che ha sostenuto di volere restituire risorse alle province. E invece mortifica enti locali e territori». Per le regioni la situazione è ancora più paradossale. Da un lato, il governo mantiene un livello, sia pure insufficiente, di finanziamento della Sanità e del trasporto pubblico. Dall’altro lato, taglia 350 milioni per cinque anni e squilibra i bilanci regionali. «Serve una soluzione tecnica a invarianza dei saldi per la finanza pubblica» ha detto Marco Alparone (coordinatore della commissione affari finanziari della Conferenza delle Regioni). A illustrare gli effetti generali dei tagli è stato Guido Carlino, presidente della Corte dei conti, secondo il quale ha avvertito «il pericolo di non riuscire a mantenere la qualità dei servizi offerti, rischiando di vanificare il beneficio monetario che ci si propone di dare nel caso delle fase più deboli della popolazione». Carlino ha anche notato il suo «sbilanciamento verso misure mirate progetti specifici, primo fra tutti per peso finanziario il Ponte sullo Stretto e altri interventi minori limitati «per via della spiccata localizzazione». Un giro di frase elegante per indicare gli interessi elettoralistici legati alla mega-opera.

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LA CORTE DEI CONTI ha convenuto con la Banca d’Italia sul fatto che le risorse destinate alla sanità dalla manovra sono «rilevanti», ma non sono sufficienti a invertire il loro calo sulla tendenza. «La spesa pubblica in rapporto al Prodotto Interno Lordo nel prossimo triennio diminuirebbe gradualmente, ai di sotto del livello medio nel quinquennio precedente la pandemia (6,5%)» ha sostenuto Bankitalia in audizione. Si tratta di una conferma di ciò che già era stato scritto dal governo nell’aggiornamento del documento di economia e finanza (Nadef), oggetto della contestazione delle opposizioni, ma che l’esecutivo ha cercato di mettere sotto il tappeto sventolando i 3 miliardi in più. Una cifra insufficiente per i medici in sciopero il 5 dicembre.

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NELL’ESECUTIVO dilagano i dubbi sul taglio delle pensioni dei dirigenti medici e di altri dipendenti pubblici. In totale 732 mila dipendenti pubblici, di cui 150 mila medici e infermieri. Ma se la norma saltasse si dovrebbero trovare altrove oltre 2 miliardi di euro a saldi invariati. E’ la legge dell’austerità in cui si muove la maggioranza. L’annuncio dello sciopero ha allarmato governo e maggioranza in maniera particolare e ha generato reazioni contraddittorie tra chi, come il sottosegretario al lavoro Durigon (Lega) trova “incostituzionale” le penalizzazioni pensionistiche ideate per fare cassa su chi ha versato i contributi per tutta la vita. La perdita in alcuni casi, è stato calcolato, arriverebbe a 900 euro al mese. La punizione potrebbe riguardare anche gli impiegati degli enti locali a un passo dalla pensione. Un altro modo per colpire non solo i cittadini ai quali vengono tolti i servizi, ma anche chi lavora in tali servizi. Nella Lega sembra che si voglia provare a rinviare di un paio d’anni queste misure austeritarie che incarnano perfettamente la politica reale del governo Meloni che, di settimana in settimana, assomiglia sempre più al governo Monti. Ma, per favore, ditelo con discrezione a Salvini. Sul contrasto al fantasma di quel governo ha costruito la carriera. Oggi deve accettare di peggiorare, addirittura, la legge Fornero. Contrappassi di una finzione al governo.

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BANKITALIA e Corte dei conti hanno insistito sulla temporaneità del taglio del cuneo contributivo e dell’avvio della revisione dell’Irpef finanziati in deficit con una parte maggioritaria dei quasi 16 miliardi di euro per 12 mesi e un incremento effimero del reddito familiare entro i 35 mila euro pari a 600 euro. L’anno prossimo questa trovata potrebbe comportare altri tagli, se non si troveranno le risorse. Questa è un’altra conseguenza delle trovate elettoralistiche per le Europee del governo.

«RAGIONEVOLE», ma «incompleta». Così Carlo Bonomi, presidente di Confindustria, ha trovato invece la manovra. «Mancano misure a sostegno degli «investimenti privati – ha detto – Solo il 9,4% della manovra è destinato alle imprese. Con la delega fiscale, e il taglio al cuneo fiscale solo dal lato dei lavoratori, siamo in negativo di un miliardo». Incontentabile.