Maja prigioniera a Budapest. Salis: «Stop a tutte le estradizioni»
Il caso L'antifascista queer tedesca isolata 23 ore al giorno e videosorvegliata
Il caso L'antifascista queer tedesca isolata 23 ore al giorno e videosorvegliata
Isolata, sottoposta a una videosorveglianza costante, costretta a stare chiusa dentro una cella per 23 ore al giorno. Queste sono le condizioni carcerarie a Budapest di Maja T., l’antifascista non binaria tedesca, accusata degli stessi fatti attribuiti a Ilaria Salis, consegnata all’Ungheria lo scorso giugno, in una sorta di versione europea delle vecchie extraordinary rendition: Maja T. infatti venne prelevata dal carcere di Dresda nel cuore della notte, senza dar tempo al suo avvocato di presentare ricorso alla corte costituzionale federale, che poi ha detto il suo no alla consegna dell’antifascista quando lei però era già in Ungheria.
Il racconto delle sue giornate in carcere arriva da due europarlamentari della Linke, Martin Schirdewan e Martina Renne, che le hanno fatto visita nella giornata di mercoledì. «Il governo tedesco deve f porre fine alla sua accondiscendenza nei confronti del regime di Orbán e fare tutto ciò che è in suo potere per garantire il ritorno di quegli antifascisti imprigionati in Germania – ha detto Schirdewan – . Non devono esserci ulteriori estradizioni in Ungheria».
Sul caso di Maja T. è intervenuta anche Ilaria Salis. «Nessuno deve essere estradato in Ungheria, perché il governo di Orbán ha ampiamente dimostrato di non voler garantire lo stato di diritto e i diritti fondamentali dell’individuo – ha detto al manifesto -. A questo proposito sostengo e rilancio la proposta di Schirdewan di imporre, su scala europea, il blocco totale delle estradizioni verso l’Ungheria».
In questo senso un precedente utile è quello di Gabriele Marchesi, il giovane italiano per il quale Budapest aveva diramato un mandato di cattura europeo sempre in relazione agli scontri con i neonazisti avvenuti nel febbraio del 2023. La sua vicenda, però, è finita con la Corte d’Appello di Milano che ha fermato la consegna all’Ungheria, sollevando dubbi sulla situazione carceraria di quel paese e sui possibili trattamenti disumani e degradanti che Marchesi avrebbe potuto subire.
«Consegnare Maja alla sedicente democrazia illiberale di Orbán significa sottoporla allo stesso processo farsa a cui sono stata sottoposta anche io – la conclusione di Salis -, un processo politico contro gli antifascisti considerati alla stregua di un nemico pubblico».
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