Ma a chi servono davvero le conferenza sul clima?
Dubai Il vertice mondiale sull’azione per il clima in corso a Dubai è un’occasione preziosa per una archeologia del presente dove clima politica ed economia si (con)fondono. Il programma dell’incontro restituisce […]
Dubai Il vertice mondiale sull’azione per il clima in corso a Dubai è un’occasione preziosa per una archeologia del presente dove clima politica ed economia si (con)fondono. Il programma dell’incontro restituisce […]
Il vertice mondiale sull’azione per il clima in corso a Dubai è un’occasione preziosa per una archeologia del presente dove clima politica ed economia si (con)fondono. Il programma dell’incontro restituisce una mappa delle parole prioritarie, che rimanda alle persone presenti al vertice e alle decisioni prese. Non certo da oggi, ma via via in modo sempre più evidente, gli appuntamenti che riguardano questioni globali sono scene mediatiche.
Non luoghi per decidere, ma spazi per mettere in scena alcune scelte, la cui natura non dipende dai colloqui intercorsi in quelle due settimane scarse. Palcoscenici per una classe dirigente globale che recita a favore di audience nazionali: agli elettori, come agli alleati e avversari.
Così, come in un qualsiasi talk-show nostrano, nel suo discorso la presidente del Consiglio Giorgia Meloni se la prende con la retorica sui «costi della transizione», accusa l’approccio «ideologico» (sic) alla transizione, trasforma il gas in «energia pulita» e loda la «neutralità tecnologica».
Il programma è un mantra di eco-managerialismo verde, dominato da parole come finanza, commercio, innovazione, tecnologia. Nessuna occorrenza, invece, per le parole più scomode come capitalismo, limiti e post-crescita. Nei panel, gli imprenditori sono i nuovi eroi del clima: How Entrepreneurs are the Climate Heroes We Need e la «sostenibilità globale» dominano la narrazione.
Naturalmente, a favore della salute, delle donne, dei bambini e in nome dell’eguaglianza ma senza alcuna tensione critica verso il modello di sviluppo. Scelta lontanissima dalle preoccupazioni e dalle priorità quotidiane delle persone per le quali la crisi climatica richiede un ripensamento profondo del modello economico.
Da un sondaggio condotto in 34 paesi europei è emerso che, in media, il 61% dei rispondenti è a favore della post-crescita. Da un’altra rilevazione condotta dall’Agenzia tedesca per l’ambiente è emerso che l’88% delle persone concorda sull’affermazione «dobbiamo trovare modi per vivere bene indipendentemente dalla crescita economica» e il 77% condivide l’idea che «ci sono limiti naturali alla crescita e noi li abbiamo oltrepassati». Un altro sondaggio mostra che l’81% delle persone in Gran Bretagna ritiene che l’obiettivo primario dei governi dovrebbe essere quello di garantire «la massima felicità» alle persone piuttosto che «la massima ricchezza». Un ulteriore studio ha rilevato che il 70% delle oltre 10mila persone intervistate in 29 paesi ad alto e medio reddito ritiene che «il consumo eccessivo sta mettendo a rischio il nostro pianeta e la nostra società».
Tra i movimenti per il clima, prevale come causa principale della crisi climatica la pervasività di «un sistema che antepone il profitto alle persone e al pianeta». Il mondo della ricerca, infine, è per la maggior parte scettico circa l’idea che – senza cambiamenti radicali nel funzionamento dell’economia – la crescita economica possa essere davvero «verde». Nonostante ciò – o forse proprio per questo – i meccanismi di accumulazione del capitale, gli scenari post-crescita e la crisi dei cicli metabolici della natura indotti dal capitalismo finanziario sono i grandi assenti da Dubai, sul cui palcoscenico recitano le maschere della classe politica mondiale.
Durante il secondo giorno della Conferenza gli organizzatori hanno pubblicato la lista di tutti i nomi e i luoghi di lavoro dei partecipanti al vertice. Il sito Heated ha esaminato i dati e ha scovato centinaia di rappresentanti dell’industria dei combustibili fossili, che stanno lavorando attivamente per ritardare l’adozione di misure contro il global boiling.
Oltre venti Paesi hanno firmato una dichiarazione per riconoscere il ruolo del nucleare nell’azione per il clima, triplicandola entro il 2050 e includendola nei prestiti della finanza climatica. Tra questi, ci sono Usa, Uk, Francia, Corea e ovviamente gli Emirati. Il fondo «perdite e danni», creato formalmente un anno fa per risarcire i disastri climatici occorsi nei paesi più vulnerabili, è stato reso operativo e stanno arrivando i primi finanziamenti, inaugurati dai 100 milioni di dollari degli Emirati, seguiti da Germania, Regno unito, Giappone.
Le ragioni sono politiche, come scrive su X (fu Twitter) Ferdinando Cotugno: Al Jaber aveva bisogno di una vittoria per oscurare i conflitti di interesse della sua Cop28 e ha individuato il fondo come via per ottenerla. Quali sono stati infatti tre paesi più generosi nel finanziarlo? Italia, Germania e Francia, tre paesi che nell’ultimo anno hanno stretto accordi per miliardi di dollari sul gas e il petrolio con lo stesso Al Jaber, in quel caso nelle vesti di Ceo di Adnoc. Intanto, lo stesso giorno in cui novembre 2023 diventa ufficialmente il novembre più caldo mai registrato, battendo il record precedente stabilito nel 2020 di 0,3°C, Al Jaber dichiara che c’è nessuna scienza che sostenga la necessità di uscire dai combustibili fossili.
Il clima, ancora una volta, può attendere.
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