L’Unhcr evacua 146 migranti da Misurata
Libia «Tecnicamente non è un corridoio umanitario ma una evacuazione di emergenza, caratterizzata da tempi rapidi, brevissimi. I corridoi umanitari sono invece realizzati da organizzazioni legate alla chiesa e dalla società […]
Libia «Tecnicamente non è un corridoio umanitario ma una evacuazione di emergenza, caratterizzata da tempi rapidi, brevissimi. I corridoi umanitari sono invece realizzati da organizzazioni legate alla chiesa e dalla società […]
«Tecnicamente non è un corridoio umanitario ma una evacuazione di emergenza, caratterizzata da tempi rapidi, brevissimi. I corridoi umanitari sono invece realizzati da organizzazioni legate alla chiesa e dalla società civile. Questa è stata una corsa contro il tempo e ci auguriamo che altri Stati facciano lo stesso tipo di operazione». Parlando a nome dell’Unhcr Federico Fossi rende bene la gravità della situazione libica. L’agenzia Onu per i rifugiati ha organizzato in accordo con il ministero degli Interni libico e il governo italiano l’evacuazione da Misurata di 146 migranti atterrati ieri all’aeroporto di Pratica di Mare. «Dall’inizio dei recenti scontri l’Italia è il primo Paese ad accogliere persone evacuate dalla Libia», ha proseguito Fossi. Il gruppo è composto da 87 uomini e 60 donne delle seguenti nazionalità: Etiopia (5), Eritrea (69), Somalia (62), Sudan (6) e Siria (5). Tra questi vi sono 68 minori, di cui 46 non accompagnati, 12 adulti (10 donne, 2 uomini), 23 coppie e 16 tra nuclei familiari e monoparentali. Gli adulti verranno accolti in alcune strutture individuate dalle prefetture di Roma, Viterbo e Rieti.
Intanto, ricorda l’Unhcr, a Tripoli le condizioni di sicurezza continuano a peggiorare a causa del protrarsi dei combattimenti tra forze rivali. A farne le spese, oltre alla popolazione locale, sono le migliaia di rifugiati e migranti che ancora «continuano a essere prigionieri nei centri di detenzione, dove anche prima dell’inizio del recente conflitto vivevano in condizioni drammatiche», ha spiegato l’agenzia. «Le persone detenute hanno riferito di temere per le loro vite e di aver sentito spari e attacchi aerei nelle vicinanze. Se i combattimenti dovessero raggiungere i luoghi di detenzione, queste persone rischierebbero di essere abbandonate o coinvolte nel conflitto». A questo punto diventa fondamentale per l’Unhcr che la comunità internazionale si mobiliti.
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