«Una nuova Repubblica». Il presidente Kais Saied ha promesso di dare presto la prossima forma istituzionale alla Tunisia in occasione dell’Eid al-Fitr, la festività che pone fine al mese di Ramadan. Parole importanti arrivate ancora una volta da Cartagine, sede del palazzo presidenziale e luogo preferito per i suoi lunghi e ormai famosi monologhi alla nazione. Famosi almeno dal 25 luglio 2021 quando Saied ha sciolto il governo, congelato il parlamento e cominciato a governare con pieni poteri sulla scia di una lunga crisi politica, economica e sociale.

IL DISCORSO di domenica sera è importante per due motivi: la nomina di un alto comitato che guiderà la fase politica verso il referendum costituzionale del prossimo 25 luglio e la scelta di non coinvolgere le opposizioni nel dialogo nazionale promesso dal presidente. Il primo elemento garantisce a Saied una legittimazione non di poco conto.

Scottato dall’esito della consultazione online terminata il 20 marzo scorso con cui ha provato a coinvolgere la popolazione nella scrittura della futura costituzione (ha votato meno del 10% del paese), l’alto comitato sarà diviso in due organi interni, uno per preparare il nuovo testo fondativo della Tunisia dopo quello ormai sospeso del 2014, l’altro come contorno al dialogo nazionale più volte invocato dalla società civile.

Un dialogo che vedrà protagonista il quartetto di organizzazioni che ha vinto il Nobel per la pace nel 2015: l’Unione generale tunisina del Lavoro (Ugtt); la Lega tunisina per i diritti umani (Ltdh); l’Ordine nazionale degli avvocati tunisini (Onat) e l’Unione tunisina dell’industria, del commercio e dell’artigianato (Utica).

«IL DIALOGO non è aperto a coloro che hanno sabotato, fatto morire di fame e maltrattato il popolo». Con una frase semplice ma diretta Saied ha decretato anche la fine dell’opposizione tunisina. Ha preferito non fare nomi ma gli obiettivi della sua invettiva sono chiari.

In primis c’è il partito di ispirazione islamica Ennahda guidato dall’ormai ex presidente del parlamento Rached Ghannouchi, al potere in maniera continuativa dal dopo Rivoluzione del 2011 e prima vittima delle decisioni di Saied. Subito dopo c’è Abir Moussi, leader del Partito desturiano libero (Pdl) nato dalle ceneri del vecchio sistema autoritario di Zine El-Abidine Ben Ali. Moussi era anche una delle favorite alla presidenza prima del 25 luglio 2021 quando Saied ha imposto il reset istituzionale.

«Abbiamo agito nel quadro della legalità e della legittimità popolare che essi temono. Immaginano di avere una certa popolarità e hanno tentato di minare la consultazione online. Si sono gettati nelle braccia dello straniero. Nessuna riconciliazione, nessun negoziato e nessun riconoscimento per loro», ha chiosato il presidente.

Al di là dell’operazione promossa da Saied in un momento molto particolare per i tunisini, oggi resta da capire quali siano le sue vere intenzioni. Dal 2011 il docente di diritto costituzionale si è espresso più volte contro il sistema politico uscito dalla Rivoluzione della libertà e della dignità, mentre diversi analisti hanno focalizzato l’attenzione su un evidente tentativo di centralizzare il potere dalla figura del presidente alle regioni più marginalizzate del paese. Elementi che hanno sollevato diverse ombre sull’operato di Saied nel tentativo di instaurare un nuovo regime autoritario in Tunisia.

L’ULTIMA NOTIZIA di cronaca che arriva da Tunisi non è confortante: con un decreto presidenziale arbitrario, il 22 aprile il presidente ha deciso di mettere mano a uno degli ultimi organismi indipendenti dello Stato, l’Alta autorità indipendente per le elezioni (Isie), attribuendosi la facoltà di nominare tre dei sette membri che comporranno la commissione elettorale. Il 17 dicembre 2022 sono previste le presidenziali e legislative anticipate.