Lula Da Silva ha deciso. Si getterà di nuovo nella mischia delle elezioni presidenziali. Allo scopo dichiarato di battere Jair Bolsonaro e tornare per la terza volta al Palazzo di Planalto come capo di Stato. E ridare dignità al Brasile. Lo ha annunciato in questi giorni con una serie di messaggi nelle reti sociali: «Sono abituato a partecipare alle elezioni… e il paese necessita qualcuno che sia capace di una discussione matura sullo sviluppo, il lavoro e il futuro».

La precandidatura formale sarà lanciata il 7 maggio. E dopo, ha affermato, «percorrerò tutto il paese» in una lunga campagna elettorale verso il primo turno, previsto per il prossimo 2 ottobre.

L’ANNUNCIO AVVIENE dopo una mossa politica che dimostra come Lula si riconfermi un tattico di prima grandezza. Ovvero, la scelta di fare terra bruciata al suo avversario nel centro dello schieramento politico, presso quelle classi medie che quattro anni fa avevano votato per Bolsonaro, appoggiato massicciamente dalle chiese evageliche.

Per ottenere questo risultato, dopo settimane di discussione interna anche aspra, Da Silva ha ottenuto l’assenso del suo partito (Partito dei lavoratori, Pt, 68 voti a favore e 16 contro) all’alleanza con il politico conservatore Gerardo Alckmin – e il Partito socialista brasilano, Psb, di cui è esponente- per formare il “ticket” (a chapa) presidenziale del prossimo appuntamento elettorale. Alckmin, 69 anni, è uno dei fondatori del Partito della socialdemocrazia brasiliana, Psdb, una formazione di centro-destra. È stato avversario (sconfitto) di Lula nelle elezioni del 2006 e quindi governatore di San Paolo per dieci anni. Recentemente ha lasciato il Psdb per affiliarsi al Partito socialista che professa una linea socialdemocratica.

«Io sono cambiato, Alckmin è cambiato e tutto il Brasile è cambiato. Credo che il Brasile necessiti questa trasformazione per poter ricostruire il paese» ha affermato Lula per dare sostanza politica all’alleanza con un centro destra che fino a pochi mesi fa era impensabile.

IN ELEZIONI CHE SI ANNUNCIANO fortemente polarizzate tra due schieramenti e figure politiche fortemente conflittuali, il centro rischiava di diventare un terreno pericoloso per Lula dopo che è naufragata la possibilità di una candidatura anche dell’ex giudice Sergio Moro (che quattro anni fa aveva condannato Da Silva per toglierlo dalla contesa elettorale e presentarsi come un difensore della legalità democratica), al quale i sondaggi attribuivano poco più dell’8% delle intenzioni di voto. Dopo la rinuncia di Moro in marzo, la distanza tra le intenzioni di voto di Lula e di Bolsonaro per il primo turno delle presidenziali si era accorciata. Secondo l’ultimo rilevamento di PoderData, il primo rimane al 40% , mentre l’attuale presidente è salito dal 30 al 35%. Uno zoccolo duro veramente pericoloso.

Come candidato alla vicepresidenza «Alckmin rappresenta una garanzia per tranquillizzare il mercato e gli industriali che non vi saranno cambiamenti radicali nel sistema, né grandi trasformazioni economiche», sostiene il sociologo e analista Antonio Lavareda. Nel contempo l’alleanza rappresenta «un simbolo forte di difesa della democrazia per affrontare la minaccia autoritaria rappresentata dalla rielezione di Bolsonaro».

UNA VOLTA OTTENUTA la “copertura” verso il centro per il proprio candidato, le principali formazioni della sinistra hanno raggiunto un accordo per concorrere alle elezioni. È stata infatti formata e formalizzata lunedì la “Federazione Brasile della Speranza”, come «espressione della necessità dell’unione delle forze popolari, democratiche e progressiste.. per promuovere la ricostruzione del Brasile e garantire una vita degna al popolo brasiliano». Partecipano alla Federazione il Pt di Lula, il Partito comunista del Brasile (PcdoB), e i Verdi (Pv). Per il prossimo anno sarà presieduta dalla petista Gleis Hoffman. Non si tratta solo di un’alleanza elettorale, ma di un vero schieramento politico programmato per quattro anni e che, in caso di vittoria delle elezioni, dovrà rappresentare il futuro governo del Brasile. L’obiettivo politico è «il superamento della crisi profonda del paese» provocata dallo sciagurato governo di Bolsonaro.

SIA IL PARTITO CENTRISTA Psb, sia varie formazioni popolari o di sinistra – il Psol (Partito per il socialismo e la liberatà, una costola a sinistra del Pt),la Rede Sustentabilidad e altri- non partecipano alla Federazione. Ma si presentano come alleati o interlocutori. Secondo vari osservatori, infatti, anche in caso di sconfitta Bolsonaro conserverà un bacino di voti consistente e l’appoggio di bancadas parlamentari potenti, in generale espressione dell’estrattivismo e dell’agroindustria. Per questo, la Federazione deve garantire non solo la possibilità di vittoria elettorale, ma anche la futura governabilità del paese.