Luigi Berlinguer: un ricordo personale
Era già difficile leggere il mio nome sotto il suo nella pagina di apertura di Education 2.0, area di riflessione di saperi diversi attorno alla funzione sociale della scuola e al significato democratico dell’istruzione come capacità di comprensione del presente.
Passata, infatti, l’indicazione del suo nome al ruolo di ‘fondatore’, mi ero sentito da subito la responsabilità di essere segnalato come nuovo ‘direttore’ di questo ‘luogo’ da lui pensato, costruito e per anni diretto.
Ora con la sua definitiva assenza, la difficoltà è accresciuta e con essa la responsabilità di mantenere quella coralità di pensiero che egli aveva composto e a cui teneva proprio per la sua intrinseca non-omogeneità. Con la morte di Luigi Berlinguer si perde proprio il contributo di un sapere polifonico alle costruzioni disciplinari che la scuola ha il compito di trasmettere e di ricostruire continuamente, superando una visione riduttiva di un disciplinarismo che non sa riconoscere analogie e che vede soltanto steccati o gerarchie tra ambiti culturali.
La sua è stata una idea di scolarità strettamente connessa a un processo continuo, che non si esaurisce nella prima parte della vita e che, così muovendosi, cerca di rispondere al rischio sempre presente della distanza tra quanto appreso e quanto essenzialmente utile alla propria capacità di analisi e di critica.
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«Civici e di sinistra» verso le europeeLo ha tentato nell’ambito del suo percorso accademico, ma soprattutto in quella ipotesi di ‘commissione dei saggi’ in cui più di venti anni fa fece convergere intellettuali, accademici, operatori scolastici, da fronti diversi, per la ricerca della risposta a una ineludibile domanda: «cosa deve conoscere un individuo nel contesto attuale, con le sue connotazioni di grande circolazione di informazioni, di difficoltà di individuazione di criteri per la loro selezione e organizzazione, di grande incidenza del sapere tecnologico, affinché possa esprimere la propria autonomia di pensiero e costruire la propria consapevolezza?»
Una domanda a cui ha cercato di rispondere intersecando punti di vista diversi, forte del suo sapere giuridico, della sua certezza sul ruolo del sapere scientifico e soprattutto dell’incidenza delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione; ma anche forte del suo interesse per l’espressione artistica, quale componente non sempre riconosciuta del segno culturale proprio di ogni individuo, in grado di dare significato anche agli altri ambiti disciplinari. La musica, in primo luogo, verso la quale ha dedicato attenzione, progettualità e spazi di nuova organizzazione ordinamentale nel contesto del sistema scolastico.
Non era difficile per lui tenere insieme questi approcci che molti giudicavano strutturalmente distanti perché le loro connessioni rappresentavano proprio la sua stessa impostazione culturale personale. Ricordarlo come progettista del sistema d’istruzione non è distante dal rammentare i suoi contributi giuridici all’interno, per esempio, della Conferenza europea dei presidenti dei Consigli dei magistrati dei diversi Paesi dell’Unione; sempre con una impostazione tendente a riscoprire ciò che crea legami anche nelle differenze e mai ciò che divide.
Forse anche per questo è stato a volte molto criticato da chi invece proponeva e propone approcci ben approfonditi, ma settoriali, a ciascun tema: dall’impostazione del sistema scolastico a quello universitario, al rapporto tra formazione e istruzione, a quello della funzione sociale del sapere giuridico. Ma forse proprio per questo ho sempre avvertito grande sintonia e affetto da parte sua nei miei confronti, incuriosito del mio essere matematico e giurista; incuriosito di una volontà di precisione che si immergeva però nella concretezza della storia dei disagi contemporanei.
Aveva negli anni passati stretto un rapporto di collaborazione con Rita Levi Montalcini, quando lei era Presidente dell’Istituto della Enciclopedia italiana, affinché la Treccani desse un contributo di supporto al lavoro dei docenti e insieme progettarono una rivista, Iter, di larga diffusione, chiamandomi a dirigerla. Ma al contempo era molto incuriosito delle ispezioni in carcere che conducevo quale Garante nazionale ed era presente ogni qualvolta che ne illustravo i risultati in qualche occasione pubblica.
Sempre però invitandomi a non separare rigore dottrinale ed esperienza d’azione diretta nei luoghi in cui le norme si inverano nel contesto sociale. Soprattutto attento a che non venisse mai abbandonato, anche trattando di luoghi oscuri, quali carceri, centri per immigrati o quant’altro, l’educazione al bello, perché ripeteva che preservare la bellezza è il primo contributo alla costruzione di coesione sociale.
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