Vendere e disinteressarsi dei diritti umani, vendere tecnologie di sorveglianza e chiudere gli occhi davanti agli effetti sulle persone. Sui popoli in Africa, nei paesi del Sahel. Un’Europa che non guarda agli effetti delle sue operazioni, dei suoi interventi.

La denuncia non è nuova, ma stavolta non viene dalle organizzazioni per i diritti civili e digitali. Viene dal difensore civico di Strasburgo – “ombudsman” lo chiamano nei documenti – che ha il compito istituzionale di seguire tutte le denunce contro gli organismi nazionali e sovranazionali.

Bene, Emily O’Reilly, irlandese, ex giornalista, che da quasi dieci anni ricopre quest’incarico europeo, giorni fa ha fatto pubblicare un documento dove, senza tanti giri di parole, dice che “la Commissione non ha adottato le misure necessarie per garantire la protezione dei diritti umani nei trasferimenti di tecnologia”.

Europa co-responsabile degli abusi, dunque. Dove? Gli esempi sono tanti e, come detto, denunciati da anni da chi si occupa di diritti. Si va dalle decine di milioni stanziati perché il Niger allestisse un sofisticato sistema di telecamere alle sue frontiere, fino ai corsi di formazione alla polizia marocchina per identificare gli utenti anonimi sui social, passando per le dotazioni alla “guardia marittima” libica. O come il complesso ed avanzatissimo sistema di riconoscimento biometrico in Senegal, che viene usato per avere accesso ai servizi pubblici ma che consente alle autorità di sapere tutto sulla vita e gli spostamenti delle persone a Dakar.

Progetti finanziati dall’Eutef, il fondo fiduciario creato nel 2015, istituito – naturalmente – per provare a prevenire l’”emigrazione irregolare”. E che finanzia progetti in ventisei paesi, dal Sahel a quelli che si affacciano sul lago Ciad, fino al Corno d’Africa.

Progetti che – teoricamente – prima di essere approvati sarebbero dovuti passare per una “valutazione d’impatto” sui diritti umani. Prima, insomma, l’Eutef avrebbe dovuto valutare quali conseguenze comportavano l’uso di quelle tecnologie.

Analisi mai fatta, se non in pochissimi casi, e subito risolta con un via libera ai finanziamenti relegato in due-righe-due di testo.

Così pochi mesi fa Privacy International, Access Now, Border Violence Monitoring Network, Homo Digitalis , la FIDH e Sea-Watch hanno presentato una denuncia al difensore civico europeo.

Da lì è partita l’indagine. Conclusasi, appunto, con un documento reso pubblico: nell’operato del fondo fiduciario europeo, si rilevano tante “carenze”. Troppe. Nel modo di procedere dell’Eutef e della stessa Commissione. E si ricorda che le relazioni dell’Europa “col resto del mondo” si fondano – dovrebbero fondarsi – sulla “tutela dei diritti umani”. Così era scritto nelle carte. Tanto tempo fa.