Non c’è due senza tre. Vale anche per la protesta dei trattori che tornano nel Quartiere europeo di Bruxelles dopo aver già messo a ferro e fuoco le sedi delle istituzioni Ue in due occasioni, all’inizio e alla fine di febbraio. Tra fuochi appiccati, chili di letame scaricato a terra e petardi esplosi per non rischiare di non essere ascoltati dai decisori, la protesta del mondo rurale ha occupato Rue de la Loi, arrivando ad assediare con più di 300 mezzi l’Europa Building.

È lì che si sono riuniti nell’inedita «commissione speciale Agricoltura» i ministri competenti dei 27. All’ordine del giorno, l’approvazione della proposta formulata lo scorso 15 marzo dalla Commissione europea per una revisione della Politica agricola comune (Pac), che prevede di concedere sia alleggerimento amministrativo per gli agricoltori che flessibilità riguardo agli obiettivi di tutela ambientale. La riforma stupisce per i tempi di approvazione: dopo il Consiglio dei ministri europeo, la proposta dell’esecutivo Ue passerà al vaglio dell’Eurocamera nella sua ultima sessione plenaria con inizio il 22 aprile, per essere quindi approvata con il via libera finale del Consiglio Ue prima delle elezioni di giugno.

Al netto dei tempi rapidissimi della revisione, che già dicono molto, la valenza politica dell’inchino alle proteste degli agricoltori è evidente. Non solo nel giubilo del governo italiano, che con il ministro dell’Agricoltura Lollobrigida rivendica il successo del governo Meloni e parla di «vittoria italiana per una Pac più giusta e meno burocratizzata». Ma anche e soprattutto nella evidente differenza di trattamento rispetto alla legge sul Ripristino della natura (Nature restoration law). Il regolamento simbolo del Green Deal è stato bloccato lunedì scorso dai ministri dell’Ambiente Ue, dopo settimane di peripezie legislative, a un centimetro dal traguardo. Decisivo per lo stop il voltafaccia dell’Ungheria, che ha permesso di formare in Consiglio la cosiddetta «minoranza di blocco». Ma certo molti paesi europei di peso, tra cui anche l’Italia, sono tutt’altro che dispiaciuti che il destino di questo provvedimento, fortemente voluto dalle organizzazioni ambientaliste, sia ormai morto (a meno di miracoli).

Venendo ai dettagli della revisione della Pac, uno degli elementi principali (per far passare il quale Roma non ha risparmiato le proprie energie) consiste nell’esenzione da controlli per aziende agricole con meno di 10 ettari di estensione. L’Ue stima che la deroga, pur riguardando solo il 10% dei terreni, avrà un impatto su circa il 65% dei beneficiari della politica agricola. Obiettivo del provvedimento, si legge in una nota del Consiglio, è «alleviare l’onere amministrativo legato ai controlli, che è più elevato per le piccole aziende rispetto alle più grandi». Inoltre, il mondo rurale ottiene di non dover più mettere a riposo una quota, per quanto piccola, delle aree coltivate, rendendo così permanente la deroga già prevista dalla Commissione per l’intero 2024. L’obbligo di rotazione potrà infatti essere sostituito da una più soft «diversificazione» delle colture, lasciando anche spazio ai singoli stati membri di proporla. Già da soli questi provvedimenti mirano a sostenere il reddito degli agricoltori, una delle richieste più pressanti emerse dalle proteste. La Commissione ha poi proposto di creare un osservatorio dei costi di produzione, basato sui margini e pratiche commerciali nella catena di approvvigionamento agroalimentare.

Ma è evidente che uno dei temi più scottanti è quello che ieri i ministri, concentrati sul dossier Pac, non hanno affrontato. È oggi infatti che i rappresentanti diplomatici dell’Agricoltura dei 27 si incontreranno per discutere dell’import del grano russo e di quello dei prodotti agricoli ucraini. Nel primo caso, c’è già la proposta della Commissione arrivata venerdì scorso per imporre dazi rispetto al grano russo che nei mesi scorsi ha inondato il mercato europeo facendo crollare i prezzi. Maggior imbarazzo invece sulla possibilità di bloccare anche l’import dall’Ucraina, che al momento è limitato ad alcuni prodotti agricoli (mais, avena, miele zucchero, uova e pollame). Mancano all’appello proprio i cereali, grano compreso, che primi tra tutti gli agricoltori polacchi sarebbero contenti di limitare o bandire dal mercato Ue.