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Lucas Santtana senza nostalgia
Nel 1970, anno di nascita di Lucas Santtana, il cambiamento climatico ancora non “esisteva”. Ma David Axelrod se ne uscì comunque con Earth Rot (il marcio della Terra), un album composto da due lunghe suite, The Warnings (Gli avvertimenti) e The Signs (I segni), in cui con celestiali arrangiamenti voceli e strumentali, attingendo dal Vecchio Testamento come dai miti dei Navajo, il compositore e produttore statunitense lanciava il monito sulla sorte tremenda che si annunciava per il pianeta già ferito da industrie, tubi di scappamento e guerre, nel caso in cui l’uomo non avesse posto rimedio al suo progressivo disfacimento.

53 anni dopo, quando di climate change si parla fin troppo senza che ci sia una vera azione per contrastarlo, Lucas Santtana compie un’operazione inversa con O Paraíso. E lo fa con altrettanta dolcezza, anziché con la radicalità che l’emergenza richiederebbe. Gli abbiamo chiesto i motivi di questa scelta nei camerini di Babel Music, poco prima del suo esordio al festival marsigliese: «Gli attivisti per l’ambiente – argomenta – sono molto più aggressivi rispetto al passato, del resto sono consapevoli che i governi non hanno fatto nulla fin qui e che quindi la lotta deve essere più radicale. Invece noi artisti dobbiamo provare a cambiare la mentalità delle persone, quindi credo che urlare sia controproducente, la gente potrebbe infastidirsi e girarsi dall’altra parte. Se invece esprimo lo stesso concetto dolcemente ho più probabilità di catturare il cuore, le emozioni di chi ascolta».

Il paradiso quindi «è già qui», anche se un po’ incerottato. Il paradiso quindi «è già qui», canta il musicista baiano, anche se è un po’ incerottato. Con un leggero colpo d’ala e la consulenza scientifica della biologa Lynn Margulis in veste di co-autrice si passa così dal post-tropicalismo al post-darwinismo, dalla teoria dell’evoluzione a quella della condivisione. «Abbiamo molto in comune – aggiunge – con piante e animali: batteri, ossigeno, acqua, azoto e altri elementi che rendono possibile la vita. Insomma, la natura siamo noi». E il “Pazzo sulla collina” preso in prestito da Paul McCartney è uno sciamano che vede cose che noi umani ci ostiniamo a non voler vedere.

Lucas Santtana nel frattempo ha lasciato il Brasile, in parte snervato dal clima che si era venuto a creare con Jair Bolsonaro presidente. «Questi anni sono stati un incubo – conferma -, una tortura mentale quotidiana. Ogni giorno c’erano pessime notizie, prese di posizione contro la cultura, la natura, le misure anti-covid, la vita stessa quindi. Penso che tutti noi, in particolare quelli della mia generazione, possiamo considerarci dei sopravvissuti».

Ma ora c’è Lula, che forse rispetto ai suoi primi due mandati “estrattivisti” sembra aver compreso anche la centralità dei temi ambientali. «Lui viene da un mondo, quello del sindacato, dove contano soprattutto lavoro, buone condizioni di vita, cibo, dignità, educazione per i figli… Ma ora ha capito che la questione della transizione ecologica è vitale, in questi primi mesi il tasso di deforestazione in Brasile è già calato drasticamente e la scelta di Marina Silva come ministro dell’Ambiente – prosegue Santtana – è chiara e forte. Così come è innegabile la rinnovata attenzione per le donne e i popoli indigeni».

«Per il resto Lula è il Messi, il craque della politica di mediazione. Durante gli anni dei suoi primi due governi tutti erano felici, i banchieri, la classe media, gli abitanti delle favelas… Ancora non capisco l’odio  che c’è nei suoi confronti, sono stati gli otto anni migliori nella storia del Brasile. E spero che ora queste qualità di mediatore tornino utili anche sulla questione della guerra. Tutti dicono di volere la pace, ma cosa fanno per ottenerla? Inviano armi. Lui ha resistito alle pressioni Usa e ha potuto farlo perché il Brasile, anche se non ha mai avuto pulsioni egemoniche, resta è il paese sudamericano più importante. Agli Stati Uniti non conviene averlo contro, se già la piccola Cuba fa un sacco di rumore, il Brasile potrebbe rappresentare un grosso problema…».

Nel backstage del Babel Music XP

Da un anno, forse senza scommettere troppo sulla rielezione dell’attuale presidente brasiliano, Lucas Santtana si è comunque trasferito in Francia. «Avevo già una buona etichetta (No Format, ndr) e un buon booking per i concerti, Dopo tante tournée in Europa ho capito che potevo aprire qui un nuovo spazio per la mia musica.Vivo a Montpellier,  una piccola città ma con 10mila studenti universitari tra cui mio figlio in cui si parlano tante lingue diverse». Più o meno quelle che informano questo suo ultimo disco. A cominciare chiaramente dal francese di La Biosphere, dove scivolano via quasi senza imbarazzi per la capacità di porgerle persino l’espressione nouvelle age  e le voci bianche di contorno. Per l’occitano ci sarà forse da attendere il prossimo disco, ma intanto «la Francia è speciale, non c’è un altro paese in cui il governo supporti di più la società. Ma forse questo avviene – aggiunge ridendo – perché si protesta anche quando le cose vanno bene… Ho partecipato ad alcune delle manifestazioni di questi giorni ed è stato come sfilare in una sorta di carnevale, c’è rabbia ma anche felicità di ritrovarsi in piazza».

DA QUI IL DITO MEDIO esibito a Macron dal palco del Dock des Suds, in chiusura di uno showcase che in sfregio a qualsiasi logica di marketing ha bellamente ignorato i brani del disco appena uscito. Un lavoro del resto complicato da rendere nel formato “trio elettrico” con cui Lucas Santtana si è presentato a Marsiglia. Per un set che ha invece voluto sigillare con Amor em Jacuma, versione di un brano di Dom Um Romao che ribadisce un suo particolare talento nell’infondere nuova vita alla musica altrui: «Cerco sempre di mettermi in ascolto – spiega – in modo che sia la canzone stessa a dirmi di cosa ha bisogno, senza impormi. Non è un processo razionale, voglio solo capire cosa mi sta chiedendo l’autore e provare a supportarlo».