Mimmo Lucano, lei ha detto che aspetta Aboubakar Soumahoro a Riace. Ormai è rimasto quasi l’unico a difenderlo. Perché?
Perchè c’è un sentimento che in me è fortissimo e si chiama riconoscenza. Io mi ricordo il 6 ottobre 2018, il giorno del corteo di solidarietà verso di me. Io lo osservavo dalla finestra di casa, ero ai domiciliari. Abou lo vedevo in testa al cordone del ‘popolo nero’, centinaia di braccianti che affollavano la Piana di Gioia Tauro. Negli anni avevo assistito quei migranti del Ciad, dell’Eritrea, del Sudan, del Ghana, che affollavano le baraccopoli di san Ferdinando e Rosarno e vederli in piazza in mio favore mi riempiva di gioia e di onore. Ma Soumahoro lo ricordo anche nella manifestazione successiva alla morte di Soumaila Sacko, ammazzato come un cane perché nero, raccoglitore e sindacalista. Quel giorno ricordo che una marea nera invase le strade di san Ferdinando e l’unico bianco oltre a voi giornalisti era Peppino Lavorato, un comunista sempre dalla parte dei subalterni. Ma Soumahoro lo ricordo anche durante i giorni difficili della pandemia quando girava da una baraccopoli all’altra senza soste e ci dava una mano anche qui a Riace malgrado i progetti di accoglienza si fossero fermati anzitempo nostro malgrado. Ecco, è la gratitudine che mi ha spinto ad invitarlo a Riace. Perché la politica è cinica nello scaricarti subito, appena non gli servi più. Comunque si tratterà di un incontro informale, tra amici e compagni, per parlarci e parlarsi.

Intanto si parla di 400mila euro di emolumenti non versati ai dipendenti della cooperativa gestita dalla suocera di Soumahoro, presunte fatture false per coprire i mancati versamenti, denunce sulle condizioni di vita degradanti dei migranti, tra cui alcuni minori. Non pensa che il non essersi accorto di tutto ciò, come Soumahoro ha ammesso, sia già di per sé un fatto grave?
Intanto, sui ritardi nei versamenti da parte dello Stato anche qui a Riace ne sappiamo qualcosa. Detto questo, andrei cauto nell’emettere sentenze affrettate. Io non ho mai avuto parenti che gestivano centri di accoglienza. Anzi la mia famiglia è andata via dalla Calabria quando sono diventato sindaco. Osservo però che quando qualcuno diventa “paladino degli oppressi” viene subito messo nel tritacarne mediatico e un piccolo neo diventa gigante. Le testimonianze a carico andranno valutate attentamente e gli organi giudiziari sono sicuro che lo faranno. Sull’onestà di Abou comunque metto la mano sul fuoco. Ha la mia solidarietà totale. Come faccio a dire il contrario di uno che ha dedicato la propria esistenza al riscatto di chi viene sfruttato nei campi, ha legato il suo impegno a fianco degli invisibili, sfruttati dai ‘caporali’ e da imprenditori senza scrupoli? Questo è l’Aboubakar che conosco. Vogliono denigrarne il valore morale e l’impegno di una vita. Ti crolla il mondo addosso. Io ci sono passato. So cosa vuol dire.

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D’accordo, ma Angelo Bonelli che lo ha candidato si sente tradito e amareggiato. L’Usb, il suo ex sindacato, lo accusa di affarismo e poca trasparenza, la Flai paventa che dietro la Lega dei braccianti di Soumahoro si nasconda la gestione del caporalato. E anche lei alle ultime elezioni politiche non lo ha sostenuto. Come mai?
Perché non condividevo la scelta di candidarsi dentro il centrosinistra che un ruolo aveva ahimè giocato nell’affossamento di Riace, nonché nel memorandum Italia-Libia sui rifugiati. Soumahoro è stato pragmatico e ha scelto un campo che gli garantiva l’elezione in Parlamento. Io, come lei sa, non ho mai avuto queste aspirazioni di candidarmi e di fare carriera politica. Rifiutando tutte le volte che mi hanno offerto un seggio sicuro.

Trova analogie tra la parabola politica di Aboubakar Soumahoro e la sua? Peraltro, mentre intorno a lei si è cementato un vasto movimento di solidarietà persino internazionale, Soumahoro è rimasto solo. L’altra sera a «Piazza Pulita» Paolo Mieli sosteneva che questo è dovuto al fatto che Soumahoro è nero. Che ne pensa?
Rispondo a Paolo Mieli dicendo che anche io mi sento un nero e voglio esser nero. Comunque è vero che ci sono analogie ma anche tante differenze tra noi. Ci unisce l’impegno a favore degli immigrati e per l’accoglienza contro ogni forma di razzismo. Ma le storie sono diverse, non sono sovrapponibili. Io ho fatto il sindaco per 15 anni, in Calabria, una regione particolare, dove all’oppressione di classe si aggiunge la cappa della mafia. Io ho fatto intervento politico nel campo dell’emigrazione, dei paesi disabitati e ho cercato di praticare l’utopia. E con Riace ci siamo riusciti, dando una forma concreta alla emancipazione e al riscatto degli ultimi.