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Lorenzo Trombetta: «I regimi vivono di retorica della guerra»

Lorenzo Trombetta: «I regimi vivono di retorica della guerra»Una statua di un militante di Hezbollah al porto Al-Hadi di Beirut – Ap

L'ammazzapersone Intervista all'analista Lorenzo Trombetta: «I leader libanesi ostili a Hezbollah sono parte del sistema che divide la società su linee verticali confessionali per evitare alleanze orizzontali sulla base del principio di cittadinanza»

Pubblicato 16 giorni faEdizione del 20 settembre 2024

Degli attentati compiuti da Israele martedì e mercoledì in Libano e delle possibili ripercussioni abbiamo parlato con l’analista Lorenzo Trombetta.

I leader libanesi ostili a Hezbollah sono parte del sistema che divide la società su linee verticali confessionali per evitare alleanze orizzontali sulla base del principio di cittadinanza

Molti analisti leggono negli attacchi il tentativo di minare le capacità militari di Hezbollah in vista di un’offensiva via terra, privandolo di uomini e di vie di comunicazione sicure. Hezbollah può arginare le perdite?
Hezbollah può farlo potenziando il già esistente sistema di comunicazione fissa e parallela alla rete telefonica dello Stato libanese. Ma esclusi i cercapersone e le comunicazioni radar, ha grosse difficoltà a rimanere operativo per condurre la guerra contro Israele come fatto finora. Solo i prossimi giorni e mesi ci diranno quanto Hezbollah sia riuscito a rimediare. Stamani (19 settembre) Hezbollah ha rivendicato il lancio di droni e razzi anti-carro in Alta Galilea, ferendo almeno quattro persone. Questo primissimo segnale di reazione ci dice che per ora Hezbollah riesce a rimanere operativo. Ma non conosciamo i dettagli della sua capacità di sopperire al danno subito.

Finora Hezbollah, come l’Iran, ha evitato di superare linee rosse irrecuperabili. Proseguirà su questa linea? E quanto tale linea è controproducente, invitando in qualche modo Israele a proseguire negli attacchi?
Hezbollah – come Israele e l’Iran – non vuole una guerra su ampia scala. Destabilizzerebbe la struttura di potere e consenso interno. Lo stesso vale per Netanyahu e la dirigenza iraniana: evocare la guerra e la minaccia esterna continuamente serve alla retorica del mantenimento del potere, ma fare la guerra aperta è un’altra cosa. La linea rossa non superata finora divide ciò che è possibile da ciò che, seppur possibile tecnicamente, non è politicamente auspicabile. Sono tutti attori reazionari (non rivoluzionari), che mirano a essere dominanti nella regione e nei contesti locali e nazionali. Netanyahu ha bisogno di Nasrallah, Nasrallah e Khamenei di Netanyahu. Detto questo, Israele continuerà a cercare di indebolire Hezbollah perché costituisce una spina nel fianco: dall’8 ottobre ha costretto Israele a impegnarsi su almeno due fronti (Gaza, Libano, ma anche il fronte del Mar Rosso e quello delle forze irachene filo-iraniane, e lo stesso Iran) e ha messo pressione al governo israeliano. Non è una guerra ibrida. È una guerra a tutti gli effetti.

In che modo gli attacchi minano invece la percezione politica di Hezbollah tra i libanesi?
Hezbollah è già da tempo percepito in maniera poco favorevole da una porzione della società libanese. E da un anno anche il consenso tra i suoi seguaci è dato in calo da fonti interne al partito. Ma non siamo in un contesto di alternanza politica determinata da elezioni libere, per cui «se non sono più d’accordo con quel partito non lo voto più e quel partito perde potere e seggi in parlamento». Siamo in un contesto in cui la comunità di Hezbollah è fatta da individui legati a triplo filo alla struttura culturale, socio-economica e politica del partito stesso. Individui che appartengono a famiglie nucleari, allargate, strutture di potere locale profondamente intrecciate al partito.

Del suo eventuale indebolimento potrebbero approfittare i rivali politici interni?
I libanesi, potenzialmente ostili a Hezbollah e non appartenenti alla comunità del partito, quali strumenti hanno per trasformare il dissenso in un risultato politico? I leader politico-confessionali libanesi ostili a Hezbollah – Samir Geagea, delle Forze libanesi o il patriarca maronita Bishar al Rai – usano periodicamente un discorso anti-Hezbollah. Ma nella gestione del potere a livello apicale sono parte del sistema clientelare-consociativista assieme a Hezbollah, leader allineati attorno un unico interesse strategico: conservare il potere, trovando accordi istituzionali ed extra-istituzionali, dividendo la società libanese su linee verticali-confessionali per evitare che si creino alleanze orizzontali sulla base del principio di cittadinanza.

Quello israeliano è stato un attacco indiscriminato, che terrorizza la popolazione civile. Che effetto ha sulla popolazione?
In Libano come in Siria- la società è traumatizzata da tempo, da una serie infinita di violazioni dei diritti da parte dei loro leader politici e di attori esterni, in primis Israele. Queste due operazioni del 17 e 18 settembre hanno creato profondo dolore e sgomento, tanto da lasciare moltissimi in silenzio, impauriti, terrorizzati. Conosco diverse persone in Libano, mai stati solidali con Hezbollah ma che di fronte a questa mattanza sono scoppiati in lacrime: descrivono le strade dove sono avvenute alcune esplosioni come «zona di guerra». Ci vorranno eserciti di terapeuti per generazioni per provare ad aiutare libanesi, siriani, palestinesi e tanti altri della regione a superare i traumi di questi eventi.

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