Cultura

L’ordito criminale della vita quotidiana

L’ordito criminale della vita quotidianaTeresa Wright (nella parte di Charlie Newton) in una scena di «L’ombra del dubbio» (Shadow of a Doubt) di Alfred Hitchcock (1943)

Geografie letterarie Il noir europeo indaga gli orrori domestici e le paure che si celano laddove ci si dovrebbe sentire al sicuro. Un percorso tra alcuni recenti titoli di autori francesi, spagnoli e britannici. Sulle tracce del «passaggio della linea» caro a Simenon, il romanzo «Call girl» dello scrittore bretone Tanguy Viel, pubblicato come i precedenti da Neri Pozza. «Il porto segreto» di María Oruña e «La centenaria con la pistola» di Benoit Philippon (entrambi per Ponte alle Grazie), «Posto sbagliato, momento sbagliato» di Gillian McAllister (Fazi).

Pubblicato circa un anno faEdizione del 28 luglio 2023

«Tutti quanti noi non andiamo fino al limite di noi stessi, o perché abbiamo paura di finire in prigione, o perché temiamo di urtare i nostri simili, o per ipersensibilità, o per buona educazione, come si dice… Insomma, per un mucchio di ragioni, ci sono poche persone che arrivano fino al limite di se stesse». Malgrado sia stato spesso descritto come un cantore della piccola borghesia e delle sue contraddizioni, è noto come Georges Simenon sia sempre stato mosso da un sentimento ambivalente, un disprezzo misto ad un’incerta proiezione di sé e dei suoi personaggi, a cominciare dal commissario Maigret, all’interno di tale ceto e «spazio di senso».

Non a caso, proprio nel sottolineare quella remora dei più a spingersi «fino al limite», consegnata al giornalista e sceneggiatore Francis Lacassin in una serie di lunghe interviste – raccolte in Conversazioni con Simenon (Lindau, 2017) -, lo scrittore belga indicava altresì tutto il proprio interesse nel cogliere attraverso le proprie opere «il passaggio della linea», quel momento che segna una rottura, una crisi, una svolta che appare inaspettata persino a quanti ne sono in prima persona protagonisti. Uno squarcio di luce emerge dai contorni spesso sordidi di un contesto che cerca di affogare nell’ombra e nell’indefinitezza vite, sentimenti e personalità, celando violenza e sopraffazione, umiliazioni e abusi talvolta perpetrati nel segno del potere.

COME UN FLUSSO di coscienza che ha la scansione e il vocabolario di un verbale di polizia, è mettendo in evidenza uno di questi «passaggi di linea» che Tanguy Viel, apprezzato scrittore bretone con all’attivo oltre una decina di romanzi che lambiscono sovente il territorio del noir – come il suo maggiore successo, L’assoluta perfezione del crimine (Neri Pozza, 2006) -, mette in scena in Call girl (traduzione di Riccardo Fedriga, Neri Pozza, pp. 156, euro 17) una storia di ordinari soprusi, di dominio e di controllo che muove dalla famiglia verso i luoghi del potere, illustrando la capacità del poliziesco europeo delle ultime stagioni di indagare gli aspetti criminali, e patologici della vita quotidiana, la costruzione di trappole sociali che imprigionano corpi e anime.

La voce narrante è quella di Laura, appena vent’anni, che denuncia il modo in cui è stata plagiata dal sindaco, nel frattempo divenuto ministro, di una piccola città dell’Ovest francese. A presentarla all’uomo è stato il padre della ragazza, un ex pugile sul punto di risalire sul ring per l’incontro della vita, che del potente primo cittadino è l’autista. Una semplice richiesta di lavoro, e di un alloggio per la giovane appena rientrata da Rennes, che si trasformerà in un incubo, in uno stato di costrizione, con Laura soggetta alle voglie, anche sessuali, del «signor sindaco». Sarà lei stessa a raccontare ai poliziotti quanto le è accaduto quando troverà la forza di denunciare l’uomo, incurante del peso e del ruolo che esercita sia localmente che a Parigi.

Sarà spiegando cosa le è accaduto, attraverso tappe che equivalgono ad altrettanti capitoli del romanzo, che si renderà conto di come «la trappola» fosse scattata fin dal primo momento, quando, incontrando il sindaco nella stanza che le è stata concessa al piano di sopra del casinò dove lavora, anche in questo caso grazie all’uomo, si era sentita «come se stesse per apporre una firma in calce a un contratto che sarebbe stato difficile rompere e di cui avrebbe accettato in anticipo tutte le clausole, sottoscritto tutte le addizionali che non erano ancora state indicate, sentendo che ogni singola mossa avrebbe rappresentato intere pagine di quel contratto fitte di obblighi». Laura è una bella ragazza, abituata fin da adolescente agli sguardi insistenti dei maschi, quando ancora frequentava la scuola ha posato per qualche rivista per adulti indossando biancheria intima di marca, ha provato anche a fare la modella di lingerie ma senza troppo successo. Quando la sua denuncia arriva in tribunale scoprirà che quel passato le viene fatto pesare come una colpa, come qualcosa di cui provare vergogna e percepirà una volta di più che lei, «la figlia dell’autista del sindaco» non sembra nemmeno poter immaginare di ribellarsi alla propria sorte.

SE SONO LE MIGLIORI intenzioni di un padre, consapevole di non poter fare molto di più per sua figlia, a mettere Laura nelle mani di un uomo che intende farne ciò che vuole, per Jen è l’assistere casualmente ad una scena che mai avrebbe potuto immaginare a far crollare d’un colpo tutte le certezze quanto alla solidità della propria famiglia. Una sera che a mezzanotte suo figlio diciottenne non è ancora rientrato, violando il rigido «coprifuoco» che gli hanno imposto i genitori, la donna decide di attenderlo davanti alla finestra. Solo che quando lo vede finalmente imboccare il vialetto che porta alla loro casa, immersa nella campagna del Merseyside, non lontano da Liverpool, il giovane è incerto, cammina accanto ad un’altra figura maschile e a un certo punto gli si scaglia contro brandendo un coltello. Quando, finalmente, varca la porta dell’abitazione, Todd è irriconoscibile, è sconvolto, ha appena ucciso uno sconosciuto rispondendo a un impeto di cui non sembra essere stato neppure consapevole. Cercando di capire cosa sia accaduto, quali i motivi che si celano dietro un gesto apparentemente inspiegabile, Jen farà però un’altra scoperta, vale a dire che Kelly, il marito che ama e dal quale ha sempre sentito di essere ugualmente amata, è in qualche modo coinvolto nella vicenda.

Ma non è tutto, dopo quella tragica notte, svegliandosi ogni mattina, la donna capisce di por ancora evitare la tragedia: giorno dopo giorno sta infatti compiendo una sorta di viaggio a ritroso nel tempo che se le potrà consentire di impedire l’omicidio non la metterà al riparo dallo scoprire ogni sorta di mistero legato alla vita serena e in apparenza felice che ha condotto fino a quel momento. Malgrado le apparenze, in Posto sbagliato, momento sbagliato (traduzione di Enrica Budetta, Fazi, Darkside, pp. 380, euro 18), l’autrice britannica Gillian McAllister non mette tanto l’accento sulla possibilità di modificare il nostro destino, quanto piuttosto su ciò che potrebbe rivelarci di noi stessi e di quanti ci circondano, compresi i nostri affetti più intimi, tale possibilità. La casa di cui Jen è così orgogliosa rischia di «farla prigioniera», insieme ai segreti che, ha capito, custodisce da sempre. «Sta per succedere qualcosa. Jen ne è sicura, pur senza essere in grado di dire cosa; una specie di sesto senso che si attiva quando c’è un pericolo, quello che prova in prossimità dei fuochi d’artificio, i passaggi a livello e l’orlo dei precipizi. I pensieri le si rincorrono nella testa come i clic di una macchina fotografica, uno dopo l’altro, dopo l’altro ancora».

LA TOPOGRAFIA delle nostre paure prende così corpo intorno alla costruzione fragile di luoghi pensati come atti a proteggerci, ma che sono destinati a rivelarsi di volta in volta come «gabbie» dalle quali fuggire o fonte di minacce ben maggiori di quelle che sorgono oltre qualsivoglia cancello eretto per proteggerci. Ancora una volta il pericolo «viene da dentro», ha un volto domestico e spesso anche famigliare. Lo sa bene Valentina Redondo, l’ufficiale della Guardia Civil della Cantabria cui la scrittrice María Oruña ha affidato una serie di complesse indagini – dopo Quel che la marea nasconde è uscito di recente, sempre per Ponte alle Grazie, Il porto segreto (pp. 502, euro 19, 80), che è in realtà il romanzo d’esordio della giovane detective. «Il luogo» in oggetto è una splendida magione della costa del Nord-Ovest della Spagna che Oliver eredita dalla propria famiglia quando decide di far ritorno a casa dopo un lungo soggiorno londinese: nei suoi progetti Villa Marina dovrebbe diventare non soltanto la dimora dei suoi sogni, ma anche un hotel di gran pregio a pochi passi dalla spiaggia.

È durante i lavori di ristrutturazione dell’edificio che nei sotterranei viene rinvenuto il cadavere murato di un bambino. Sarà solo la prima di una serie di macabre scoperte che obbligheranno la detective Redondo a scavare in profondità nella storia del luogo e della famiglia che lo ha abitato. In questo caso il rimosso non si rivelerà solo biografico e personale, ma finirà per interrogare le vicende della Guerra civile, il modo in cui in tanti continuarono a battersi contro Franco anche dopo la sconfitta della Repubblica, ma anche un passato di violenza che qui come in altre parti della Spagna si è voluto occultare a lungo. Del resto, ammetterà uno dei protagonisti del romanzo, «nulla, o almeno poche cose, sono come appaiono realmente. Anch’io posso cadere nell’inganno delle apparenze».

LE PORTE GIREVOLI della percezione consentono infine di restare talvolta anche incerti ad osservare il confine che si stende intorno al «passaggio della linea» caro a Simenon. Difficile porsi altrimenti di fronte alla vicenda che racconta Benoit Philippon in La centenaria con la pistola (traduzione di Rossella Monaco e Letizia Fusini, Ponte alle Grazie, pp. 372, euro 18, 90). Perché la donna che viene arrestata in un villaggio del Massiccio Centrale dopo un breve conflitto a fuoco, ha dapprima sparato contro un vicino e quindi ha rivolto la doppietta verso i gendarmi, non ha solo 102 anni, ma ha anche una lunga e a prima vista incredibile storia da raccontare.

Berthe Gavignol, cinque volte vedova, e ancora dotata di una buona mira, tratteggia all’ispettore André Ventura i contorni di una vita non solo avventurosa, ma probabilmente segnata da una lunga serie di crimini. Si potrebbe pensare che Berthe racconti l’autobiografia di una serial killer o che, certo ricorrendo alle spicce, abbia passato la vita a difendersi da uomini violenti e che le volevano imporre ogni sorta di regola: uomini che lei non ha esitato un solo momento a far fuori. Ha attraversato l’intero 900, la guerra, la povertà, lo sfruttamento, ma «Berthe non è mai stata un tipo che si fa piegare», tanto da rielaborare l’arte dell’omicidio come una categoria di genere.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento