«La vera foresta non si trova su nessuna mappa, non può essere percepita con i nostri poveri sensi. Solo il nostro essere più profondo può entrarvi in contatto, ed è la foresta stessa a decidere a chi mostrarsi, chi può entrarvi. La foresta è l’essere supremo, non noi. La foresta è viva».

Per il commissario Dupin, protagonista di una serie poliziesca ambientata in Bretagna, firmata da Jean-Luc Bannalec, lo pseudonimo dietro cui si cela uno scrittore tedesco che vive tra la Germania e la Penisola armoricana, era venuto il momento di misurarsi con uno dei misteri più affascinanti del luogo.

Perché al centro di Segreto bretone (traduzione di Chiara Ujka, Neri Pozza, pp. 358, euro 19), l’ultimo capitolo della avventure di Dupin c’è la foresta di Brocéliande, considerato l’epicentro simbolico dell’immaginario arturiano. Proprio alcuni dei relatori attesi ad un convegno che si doveva svolgere presso il Centre de l’Imaginaire Arthurien che ha sede nella foresta sono assassinati l’uno dopo l’altro. Dupin, che aveva in programma una gita da quelle parti, in compagnia degli ispettori Riwal e Kadeg e della preziosa assistente Nolwenn, si trova così coinvolto nelle indagini.

Via via che la storia procede e Dupin cerca di entrare in contatto con la realtà che lo circonda, il fascino e l’incanto della foresta si tingono però di una luce oscura, maligna, ostile. E la Brocéliande del mito cede il passo ad una realtà ben più prosaica ma decisamente più allarmante.