«A essere sincero, non sono in grado di spiegare passo per passo come ci sono arrivato, perché non si è trattato di una successione di punti allineati uno dopo l’altro, ma di una nebulosa di punti, priva di logica e coerenza. Elementi sparsi, a volte inafferrabili o incomprensibili». Alla fine, ancora una volta è l’apparente procedere senza alcuna coerenza di Jean-Baptiste Adamsberg ad aver ragione del mistero. Le «idee vaghe» cui il commissario del XIII arrondissement di Parigi fa spesso riferimento, inserendo un enigmatico «non so» come sorta di intercalare nelle proprie distratte conversazioni.

Spetta a lui non soltanto di risolvere «il caso», ma anche di restituire vigore alle storie della sua creatrice, Fred Vargas, che torna a raccontarne un’indagine a sei anni dall’uscita de Il morso della reclusa (Einaudi, 2017), che aveva visto l’arruffato detective rientrare precipitosamente dall’Islanda per indagare sulla morte di alcuni anziani, già ospiti di un orfanotrofio vicino a Nîmes, a causa del morso di un ragno violino.

QUESTA VOLTA, per il ritorno sulla scena di Adamsberg, protagonista di Sulla pietra (traduzione di Margherita Botto e Simona Mambrini, Einaudi, pp. 469, euro 20), sarà seguendo i morsi, molto meno pericolosi, delle pulci che ci si avvicinerà pian piano al responsabile di una serie di delitti. Decisamente un «marchio di fabbrica» per Frédérique Audouin-Rouzeau, già ricercatrice di archeozoologia presso il Centro nazionale francese per le ricerche scientifiche, il Cnrs di Parigi, divenuta negli ultimi trent’anni una delle figure più lette e stimate della nuova letteratura poliziesca francese con il nome di Fred Vargas. Anche la scena del crimine è scelta con cura e consente di tornare al clima che Vargas, che oltre che scienziata è anche di formazione medievista, sembra prediligere, quello dove la dimensione della ragione si può intrecciare all’irrazionale, miti e leggende fare i conti con più i moderni ritrovati dell’investigazione criminale.

IN QUESTO CASO è tra i dolmen e i menhir della Bretagna, intorno al castello di Combourg dove trascorse la propria infanzia François-René de Chateaubriand, uno dei simboli letterari del romanticismo francese, autore delle Memorie d’oltretomba. Omicidi, un rapimento, progetti di assassinio che riguardano lo stesso commissario fanno così il paio con la mitologia locale, personaggi che ritengono che le fate veglino su di loro, la minaccia dei «calpestatori di ombre», temuti nel villaggio quanto dei malviventi veri e propri o il fantasma che dal castello si spinge la notte nelle vie del centro ridestando con la sua gamba di legno ogni sorta di paura negli abitanti.

Per attirare i turisti, c’è anche un discendente del visconte de Chateaubriand che passeggia, e frequenta le locande locali, vestito come un nobiluomo dell’Ottocento. Lo scenario perfetto per uomo bizzarro come Adamsberg, investigatore eccellente ma altrettanto risolutamente incline a perdersi dei propri pensieri, tanto da essere stato ribattezzato dalla sua stessa creatrice come uno «spalatore di nuvole».

Alla fine, si ha perciò l’impressione che Sulla pietra assomigli davvero a quella «favola tragica» che racchiude secondo Vargas l’essenza stessa del noir. Un orizzonte dove Adamsberg, che si dice «abituato alle cose che mi sfuggono», si abbandona al ritmo e agli umori dei luoghi, cercando di carpire, da inveterato flâneur quale è, una qualche verità da quanto lo circonda. Come un archeologo, il commissario sembra iniziare ogni indagine attraverso dei percorsi sotterranei, cercando, si ha quasi l’impressione, di «perdersi» per ritrovare poi, in modo sempre poco coerente, la superficie e, spesso, la luce di una piccola intuizione. Fedele, in questo, a quella distrazione che Vargas stessa ha eretto a virtù cardinale dell’esistenza nel suo Piccolo trattato sulle verità dell’esistenza (Einaudi, 2013).

IN «SULLA PIETRA» È LUI, Jean-Baptiste Adamsberg, ad aggiungere ad un intreccio non sempre all’altezza delle proprie indagini precedenti, quel qualcosa di placidamente seduttivo che lo ha reso da tempo un personaggio indimenticabile e sempre in grado di stupire i lettori. Lui che – interpretato nella serie francese Crime Collection , sceneggiata da Emmanuel Carrère, da Jean-Hugues Anglade -, appare così ai propri interlocutori: «Spigoloso, carnagione olivastra, naso aquilino, occhi dolci persi nel vago, tranne quando lo sguardo diventava di colpo puntuto, labbra irregolari dal sorriso accattivante che aveva spiazzato molte persone, accompagnato da una voce flautata».