L’Albania alle prese con una forte ondata di maltempo si trova a gestire parallelamente la tempesta politica scatenata dalla firma del protocollo Meloni-Rama che prevede la costruzione di due centri per migranti nel porto di Shengjin e in una ex base militare a Gjader, nel nord del paese. La notizia è uscita sui media nazionali nel pomeriggio di lunedì e ha fin da subito polarizzato l’opinione pubblica.

Partia Demokratike, il partito che fa opposizione da destra al governo Rama, ha presentato un’interpellanza parlamentare per chiamare il premier a rispondere di una decisione presa esclusivamente in sede governativa. Kreshnik Çollaku, vicepresidente del partito di opposizione, ha dichiarato che il caso verrà sottoposto anche al vaglio della Corte costituzionale. «La cessione di sovranità su una parte del territorio nazionale è una violazione lampante della nostra Costituzione che ha implicazioni anche penali» ha dichiarato Çollaku in un’intervista e ha aggiunto che il partito è pronto a sostenere eventuali piazze di protesta contro l’accordo, restando invece evasivo sulla possibilità di convocarle formalmente.

Questo attendismo sulla chiamata di una piazza risponde all’esigenza di non disperdere le energie in troppi rivoli, data la condizione di grande debolezza in cui versa il Partito democratico, tra le macerie della vicenda Berisha, di cui ancora si consumano teatrali strascichi giudiziari, e una leadership frammentata che non riesce a contenere lo strapotere di Rama.

Ma gli argomenti in punto di diritto non esauriscono le perplessità emerse nel dibattito d’oltremare. Il direttore del quotidiano Panorama, Andi Tela, ospite di una trasmissione televisiva, ha espresso il timore che i migranti che non otterranno lo status di rifugiati in Italia potrebbero restare in Albania. Un deputato dell’opposizione, Agron Gjekmarkaj aveva già lanciato l’allarme sui suoi canali social: «L’arrivo di africani fa perdere centralità ai problemi della popolazione locale e ostacola lo sviluppo del turismo».

Oggi alle 16 davanti al Palazzo del governo è stato chiamato un presidio di protesta contro l’accordo. Tra i promotori Altin Goxhaj, un esponente della galassia no vax e cospirazionista, vicino ma non interno alla destra parlamentare. Sul volantino dell’iniziativa dominato dall’aquila bicefala del vessillo nazionale i toni sono apertamente nazionalisti: «L’Albania non deve tornare ad essere lo sgabuzzino delle grandi potenze».

Se da una parte c’è un richiamo sovranista velato di pulsioni xenofobe dall’altra Rama e il suo establishment sono impegnati a utilizzare la questione etica, gli albanesi popolo di migranti che pagano il debito dell’accoglienza, per cercare consenso intorno all’assolo del premier sui tavoli internazionali.

Poche le voci che si levano in difesa dei diritti umani dei migranti, tra queste quella di Arlind Qori, segretario del partito della sinistra radicale Lëvizja Bashkë, formazione nata da circa un anno dopo oltre un decennio di attivismo come collettivo informale: «I migranti non saranno mai i nostri nemici, i migranti vengono condannati da questo accordo a un approdo in Albania, paese che non potrà mai garantire loro un futuro degno e il rispetto dei loro diritti», si legge nel comunicato diramato ieri mattina.