È la sera del 14 marzo 2019, la quarantanovesima edizione della London Book Fair si sta per chiudere. Gli espositori – case editrici e agenti letterari – che hanno partecipato alla maggiore fiera internazionale dell’editoria dopo la Buchmesse si salutano, si danno appuntamento a Francoforte, fanno programmi per il 2020, il 2021, il 2022… Come tutti noi non immaginano quello che di lì a pochi mesi succederà, che purtroppo continua a succedere (e certo, non parliamo solo del covid). Ma finalmente, dopo un’edizione annullata una settimana prima dell’inaugurazione e un’altra solo virtuale lo scorso anno, la London Book Fair torna in presenza, dal 5 al 7 aprile, e – scrive Ed Nawotka su Publishers’ Weekly – «gli organizzatori hanno grandi aspettative», anche perché la bellissima sede storica di Olympia è stata completamente rinnovata.

In realtà, che si sia lontani da una situazione normale (per quello che la parola «normale» può significare oggi), lo dicono i numeri: gli espositori registrati a questa cinquantunesima edizione sono 860 contro i mille di tre anni fa e secondo le previsioni i partecipanti non saranno più di ventimila, almeno cinquemila in meno rispetto alle fiere londinesi pre-pandemia. E la guerra a est non può non farsi sentire: il padiglione ufficiale russo «per reciproco accordo» non ci sarà, mentre verrà data visibilità particolare all’editoria ucraina.

Come sempre in questi casi, però, si cerca di vedere il bicchiere mezzo pieno: una sostanziosa presenza statunitense («abbiamo la conferma che tutte le più grandi case editrici – Penguin Random House, HarperCollins, Hachette e Macmillan – parteciperanno, sia pure affidandosi perlopiù al personale britannico», ha annunciato Andy Ventris, direttore della Lbf); il «robusto programma di incontri» proposto dagli Emirati Arabi Uniti, paese cui è dedicato il market focus di quest’anno; e soprattutto la corsa per accaparrarsi i 480 tavoli dell’International Rights Center, andati esauriti ben prima dell’inizio della fiera.

Già, per quanto sempre più siamo abituati a collegarci attraverso degli schermi, al centro della London Book Fair come di tutte queste manifestazioni ci sono i diritti dei libri, e la possibilità di parlarne dal vivo, in una serie vorticosa di incontri che, covid permettendo, si prolungano fuori tra colazioni, aperitivi e cene. Ma anche chi non sarà a Londra può dare un’occhiata a quelli che sono considerati i titoli più «caldi» proposti ai tavoli di Olympia, grazie a Tom Tivnan, che li ha pazientemente elencati su The Bookseller. Ovviamente si tratta quasi solo di libri provenienti dall’universo anglofono (anche se c’è un italiano, Marco Franzoso, il cui romanzo La lezione – in uscita da noi per Mondadori tra un paio di settimane – viene descritto come «un racconto pieno di suspense sulla lenta discesa agli inferi di una ragazza comune»), ma c’è materiale a sufficienza per capire cosa arriverà in libreria nei prossimi mesi.

Nessun dubbio per titoli come The Philosophy of Modern Song di Bob Dylan, A Ballet of Lepers di Leonard Cohen o Who’s Afraid of Gender? di Judith Butler, che hanno già trovato i loro editori italiani (rispettivamente Feltrinelli, Bompiani e Laterza). Ma siamo pronti a scommettere che non resterà scoperta la biografia illustrata di Virginia Woolf a opera di Ella Bucknall e tanto meno The Red Sirens: A Ukrainian Family Memoir della traduttrice e giornalista poliglotta Victoria Berezko-Frolova, che «racconta la sua infanzia in Ucraina ed esplora la storia del ventesimo secolo del paese mentre indaga su un mistero che ha perseguitato quattro generazioni della sua famiglia». (Anzi, le aste per questo titolo sono in corso, chi aspetta la fiera londinese arriverà tardi).