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L’ombra dei militari si allunga sull’Iran. Con l’aiuto di Trump

L’ombra dei militari si allunga sull’Iran. Con l’aiuto di TrumpIl presidente iraniano Hassan Rohani parla alla Festa nazionale dell’esercito, lo scorso 18 aprile – Afp

Insieme alle proteste e al malcontento popolare per la mancata ripresa economica, cresce la fiducia nelle forze armate e nei pasdaran. Ayatollah a rischio

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 28 giugno 2018

C’è il rischio che, dopo quarant’anni di regno incontrastato, a pochi mesi dall’anniversario della Rivoluzione del 1979 gli ayatollah di Teheran siano costretti a cedere la poltrona ai militari. Resta da vedere se ai generali delle forze armate regolari, oppure ai pasdaran e alle milizie di cui l’ex presidente ultraconservatore Mahmoud Ahmadinejad è l’emanazione politica più conosciuta. E sono loro, i pasdaran, che in questi decenni di guerre, isolamento e sanzioni hanno tratto maggior vantaggio, anche economico. Complice anche la presenza dell’Isis in Siria e in Iraq, di cui i pasdaran hanno indubbiamente contribuito ad arrestare l’avanzata, guadagnando crediti in patria e all’estero.

 

[do action=”quote” autore=”Jamileh Kadivar”]Trump non vuole che in Medio Oriente ci sia un paese forte e indipendente, preferisce una Repubblica islamica debole e obbediente. Per questo la sua guerra economica punta a indebolire il potere degli ayatollah. In questo Israele e Arabia saudita sono ovviamente con lui[/do]

 

DECIFRARE la complessa situazione che sta attraversando l’Iran non è facile. L’Occidente ha sbattuto, ancora una volta, la porta in faccia alla Repubblica islamica e ai suoi cittadini: i paesi dell’Unione europea raramente concedono loro un visto di ingresso, e il presidente statunitense Donald Trump li ha inseriti nel decreto contro i musulmani, impedendo di chiedere il visto con la procedura semplificata. Di fronte a questi rifiuti, che hanno una valenza morale, a poco serve potenziare il business con l’India, l’Afghanistan e le repubbliche dell’Asia Centrale investendo nel porto di Chabahar e nella sua zona di libero scambio, sul Golfo persico.

AD AIUTARCI A COMPRENDERE le vicende più recenti è Jamileh Kadivar, deputata riformista nel governo Khatami e braccio destro di Karrubi nel movimento d’opposizione del 2009 noto come Onda verde. Se gli altri esponenti dell’Onda verde sono agli arresti domiciliari dal 2011, Jamileh Kadivar vive a Londra, in esilio. Martedì è stata ospite del festival Taobuk di Taormina per discutere del ruolo delle donne nella Rivoluzione del 1979. Dalla Sicilia, abbiamo seguito attraverso i social media le proteste dei bazar di Teheran, Kermanshah e Arak. Proteste di cui sono protagonisti i mercanti, che si ostinano a tenere chiuse le loro botteghe malgrado il volere contrario della polizia.

Ed è da Twitter che arrivano messaggi inquietanti: «Alcuni chiedono le dimissioni del presidente moderato Hassan Rohani. Altri fanno pressione affinché sia avviato un processo di impeachment, tralasciando il fatto che a votarlo erano stati diversi milioni di cittadini: dicono che si deve togliere dai piedi! Tanti altri sostengono sia meglio sostituire Rohani, che veste l’abito e il turbante del religioso sciita, con un presidente con la divisa dei militari».

CERTO È CHE LE PROTESTE di questi giorni sono il segnale di un forte malessere popolare, legato alla mancata ripresa economica perché gli americani non hanno rispettato l’accordo nucleare e hanno mantenuto in essere le sanzioni finanziarie, alla corruzione diffusa, al divario sempre più ampio tra classi sociali e all’impunità di fronte alla magistratura di coloro che guadagnano assai facendo contrabbando.

UN MALESSERE EVIDENTE, che non è stato sedato dalle emozioni scatenate dalla nazionale di calcio in questi mondiali. Secondo Jamileh Kadivar è anche mentale: «Oltre alla vulnerabilità dell’economia, nel paese si è scatenata una guerra psicologica perché sono in tanti a soffrire per il deterioramento delle condizioni di vita, sono arrabbiati, non vedono speranza nel futuro e sono in attesa che succeda qualcosa».

Se qualcuno ipotizza che dietro alle proteste possano esserci poteri occulti, di matrice occidentale e israeliana, in realtà gli iraniani hanno ottimi motivi per lamentarsi e non servono interferenze straniere. E gli iraniani sono troppo nazionalisti per dare ascolto al premier israeliano Netanyahu,che ha più volte invitato il popolo iraniano a ribellarsi contro il sistema e il governo della Repubblica islamica.

Sono invece molto più efficaci, nel loro intento di destabilizzazione, le posizioni anti-iraniane e guerrafondaie del presidente statunitense Donald Trump, che certo non contribuiscono ad alleviare le tensioni: «Trump non vuole che in Medio Oriente ci sia un paese forte e indipendente, preferisce che la Repubblica islamica sia debole e obbediente. Per questo ha dato avvio a una guerra economica con l’obiettivo di indebolire il più possibile gli ayatollah al potere. In questo conflitto, Israele e l’Arabia saudita sono ovviamente dalla parte degli americani», commenta Jamileh Kadivar.

IN ALTRI TERMINI, se a Teheran prenderanno il potere i militari, dovremo dire grazie a Donald Trump: a forza di insistere, è riuscito nel suo intento.

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