Sono molte le voci, sia istituzionali sia della società civile, che si sono alzate contro la costruzione dell’East african crude oil pipeline (Eacop), che dal lago Albert in Uganda arriverà fino al porto di Tanga in Tanzania. Ma sembra che non bastino.
Il più grande oleodotto riscaldato del globo ha incontrato diversi ostacoli, soprattutto di tipo finanziario. Alle banche infatti si sono rivolti i promotori di #StopEACOP, la campagna di sensibilizzazione e azione contro il progetto, con una lettera firmata da 260 associazioni per la difesa dei diritti umani e dell’ambiente in cui si esortano i grandi istituti di credito a non finanziare l’oleodotto per le criticità ambientali e umane che comporta, e le istituzioni a non appoggiarlo.

LO SCORSO SETTEMBRE anche il Parlamento europeo aveva espresso preoccupazione per i diritti umani e per le conseguenze che Eacop avrà sull’ambiente, chiedendo alla comunità internazionale di fare pressioni sui governi di Uganda e Tanzania e sugli istituti di credito affinché si arrivi «alla fine delle attività estrattive in ecosistemi protetti e sensibili».
Un’opera come Eacop finirebbe per auementare di sette volte le emissioni nocive prodotte dall’Uganda, generando 34 milioni di tonnellate di Co2 ogni anno. Ma l’oleodotto lungo 1.445 chilometri dovrà anche passare sui terreni di 178 villaggi: più di 100 mila persone hanno già lasciato le proprie case e gli scarsi indennizzi promessi si teme che non basteranno per tutti.

DIVERSE BANCHE INTERPELLATE da #StopEACOP hanno deciso però di rinunciare a investire sul progetto. Ultima in ordine di tempo la Standard Chartered, banca con sede a Londra ma attiva in tutto il mondo, che si è ritirata dopo aver capito che il progetto non rispetta gli Equator Principles, l’insieme di regole del settore bancario che valutano il rischio ambientale e sociale delle grandi opere: cioè non è all’altezza degli standard internazionali in materia di sostenibilità ambientale.

TotalEnergies, principale investitore nel comparto estrattivista ugandese, si è ritrovata a dover correre contro il tempo per rispettare la tabella di marcia che si era delineata con il governo di Kampala. Mentre gli impianti di perforazione sono in funzione e lo sviluppo del campo petrolifero a monte sta progredendo, Eacop è in ritardo sull’obiettivo di arrivare al primo flusso di greggio nel 2025.

TUTTAVIA NEL SETTORE petrolifero Total in Uganda è affiancata dalla China National Offshore Oil Corporation (Cnooc), che detiene il 28,33% delle concessioni estrattive ugandesi e l’8% del progetto Eacop. Alla rinuncia di finanziamento di molte banche europee e americane ha fatto seguito la sostituzione di molte imprese occidentali, impegnate nella fornitura di materiali per Eacop, con aziende cinesi legate alla Cnooc. Le imprese cinesi si stanno aggiudicando gli appalti per quasi tutti i servizi, rendendo palese che i finanziamenti tanto cercati arriveranno in parte consistente grazie alla Commercial Bank of China, che insieme alla sudafricana Standard Bank e alla giapponese Sumitomo Mitsui Banking Corporation agiscono in qualità di consulenti finanziari del progetto.