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L’Olanda chiede l’opt-out sulle politiche migratorie Ma Bruxelles frena

L’Olanda chiede l’opt-out sulle politiche migratorie Ma Bruxelles frena

Il governo di estrema destra vara le politiche anti-migranti. La Commissione Ue: «Servono tempo e la modifica dei Trattati Ue»

Pubblicato 8 giorni faEdizione del 19 settembre 2024

La foto condivisa oggi su X (già Twitter) dalla ministra olandese alle migrazioni, Marjolein Faber, del PVV di Geert Wilders, che la ritrae seduta nel suo ufficio mentre firma il documento con il quale l’Olanda chiede formalmente a Bruxelles l’”opt-out” sulle politiche migratorie comunitarie, agli italiani ricorderà qualcosa: nel 2019, anche Matteo Salvini aveva condiviso uno scatto simile mentre firmava il decreto che “chiudeva” i porti a Sea Watch.

Se quel momento social ha portato, negli anni, poca fortuna al vice-premier italiano, la lettera dei Paesi Bassi non ha dovuto neanche attendere la ricevuta di ritorno: la missiva inviata la mattina alla Commissione europea, è infatti più una mossa di propaganda del governo olandese dal momento che un eventuale opt-out sarebbe possibile solo con una modifica dei Trattati Ue. Procedura lunga e complicata che Bruxelles già ha escluso possa avvenire in tempi brevi. E la stessa Faber ha riconosciuto che fino a quel giorno l’Olanda continuerà ad applicare il Patto sulla migrazione. I tre paesi che in passato hanno ottenuto queste deroghe (Danimarca, Polonia e Irlanda) le avevano negoziate prima dell’adozione dei provvedimenti.

UN COLPO DURO per la ministra Faber, braccio destro di Wilders e oltranzista sul tema migrazioni, perché l’opt-out era il cardine del programma elettorale in discussione alla Tweede Kamer (la camera bassa del Parlamento olandese) in queste ore: riprendere i controlli alle frontiere, chiedendo la sospensione di Schengen come ha fatto la Germania per gestire l’«emergenza richiedenti asilo» a colpi di decreti; questo era il piano escogitato dall’ultra destra con il benestare del VVD, il partito di Mark Rutte ma la prima battuta d’arresto è arrivata immediatamente.

E PROPRIO IERI, il Prinsjesdag, la giornata-cerimonia ufficiale di riavvio dei lavori parlamentari dopo la pausa estiva, è stato il palco per annunciare a tutti l’Olanda che vorrebbe Wilders. Un’occasione ghiotta perché quest’anno l’evento, che segna anche l’inizio della discussione sul budget annuale, è caduto proprio in concomitanza con la presentazione del programma della coalizione di destra-estrema destra e con quella della nuova Commissione europea.

IL DIBATTITO parlamentare, come da protocollo, è stato preceduto dal discorso del re, il Troonrede, quest’anno pesantemente influenzato dalle ossessioni securitarie e anti immigrazione della nuova coalizione: nelle parole del sovrano Willem Alexander ha fatto irruzione il vocabolario e la retorica dell’estrema destra che ha praticamente monopolizzato il testo letto davanti al parlamento. Si è parlato solo di rimpatri celeri, stop alle richieste di asilo, stop ai ricongiungimenti familiari e accoglienza “frugale” per rendere l’Olanda il meno attraente possibile per chi fugge da guerre e persecuzioni.

PER CAMUFFARE la natura razzista delle tesi di fondo, il Partito delle Libertà di Wilders ha escogitato una spiegazione vendibile anche a chi è scettico sulla presunta emergenza: «siamo un paese piccolo e sovrappopolato. E abbiamo superato i 18 milioni di abitanti a causa dei rifugiati», ha spiegato. I numeri dei richiedenti asilo nei Paesi Bassi sono ampiamente al di sotto della media Ue e gli studi demoscopici dell’Istituto di Statistica CBS smentiscono l’assunto: il consistente incremento della popolazione degli ultimi tempi è da attribuire alle migrazioni interne all’Unione e ai rifugiati provenienti dall’Ucraina, mentre i richiedenti asilo da altre zone del mondo giocano un ruolo marginale.

MA A WILDERS questo non importa, come è per lui di poco interesse che le norme draconiane annunciate, la «politica più severa d’Europa» come l’ha definita lui, effettivamente veda la luce: quello che conta è mostrare di essere al lavoro e cercare di influenzare le decisioni a Bruxelles, testando di volta in volta quanto più a destra possa essere spostata la barra. Oggi, soprattutto, la bocciatura in tempo reale dell’opt-out da parte della Commissione europea, potrebbe quasi essere una vittoria: il PVV sa cosa è meglio per la sua gente ma l’Ue dice no.

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