A inaugurare il Festival di Locarno sarà in Piazza Grande Le déluge che nonostante il titolo francese è diretto dal regista italiano Gianluca Jodice, il quale dopo D’Annunzio (Il cattivo poeta, 2021) «si misura» ancora una volta prodotto da Matteo Rovere con la non semplice figura storica di Marie Antoinette e del suo consorte Luigi XVI, narrati nei giorni di prigionia a Parigi prima della condanna a morte. A interpretarli Melanie Laurent e Guillaume Canet.

L’EDIZIONE 2024 che si apre oggi la cui immagine ha trovato finalmente un cambio di cifra nel sinuoso leopardo pensato da Annie Leibovitz, è la prima della nuova presidente Maja Hoffman, nome molto importante nel mondo dell’arte che con la sua Luma Foundation è un riferimento fondamentale per la ricerca artistica. Nella presentazione scrive che l’identità dell’appuntamento locarnese a sua identità continuerà a essere definita «dal desiderio di sperimentazione e di innovazione». Vedremo quali saranno i suoi interventi nel futuro.

Intanto il festival numero 77, leggermente più avanti nel calendario (termina il 17 agosto), una data che lo porta ancora più vicino all’inizio della Mostra di Venezia (28 agosto) sembra almeno dalle proposte del Concorso internazionale mostrare una maggiore compatezza di intenti rispetto la sua caratteristica di spazio per il cinema indipendente la cui collocazione (non solo commerciale) nel panorama mondiale appare sempre più difficile. C’è anche una maggiore presenza del cinema italiano, con due titoli in concorso (su 17): Luce di Silvia Luzi e Luca Bellino e Sulla terra leggeri di Sara Fgaier. E poi Real di Adele Tulli (Cineasti del presente); La vita accanto di Marco Tullio Giordana (Fuori concorso) che avrà il Pardo omaggio alla carriera. E anche la coproduzione Svizzera-Italia di Samir che in La prodigiosa trasformazione della classe operaia in stranieri, racconta con materiali di archivio la storia dell’emigrazione in Svizzera.

LA RETROSPETTIVA, che è spesso uno degli appuntamenti più seguiti, è dedicata alla Columbia Pictures nel suo centenario come suggerisce già il titolo: The Lady with the Torch – l’accompagna il volume a cura delle edizioni de l’Oeil. La scommessa del curatore, Ehsan Khoshbakht, è quella di «contrastare i luoghi comuni riguardo la leggendaria Columbia nel periodo del suo massimo splendore» – cioè dall’avvento del sonoro agli anni Cinquanta (1929-1959 è l’arco di tempo attraversato dal programma). Scopriremo risistematizzazioni critiche nei testi che accompagnano la selezione, una raccolta di capolavori della storia del cinema prodotti dalla «signora con la torcia» (acquistata dalla Sony nel 1989) che per molte generazioni di spettatori saranno una scoperta e in più su grande schermo (nonostante la retrospettiva locarnese continua a non proiettare con i sottotitoli). Fondata nel 1924 dai fratelli Harry e Jack Cohn insieme a Joe Brand, la sua prima sede situata su Poverty Row, la zona di Hollywood intorno a Gower Street, dove erano raggruppate le produzioni di serie B, la Columbia era considerata (con Universal e United Artists) una delle «piccole tre» major (Twentieth Century Fox, MGM, Paramount, RKO e Warner Bros erano le «grandi») che seppe nel tempo produrre screwball sovversive e catturare nel dopoguerra le ombre più cupe in una serie magnifici noir (come Il grande caldo di Fritz Lang).