La Ue è il terzo emettitore di Co2 al mondo. La Commissione nel luglio scorso ha messo a punto un programma – il Green Deal – per ridurre queste emissioni del 55% entro il 2030 e arrivare ala neutralità carbonio nel 2050. Una buona parte di questo “pacchetto” è in discussione in questi giorni al Parlamento europeo, che oggi dovrebbe affrontare con 8 voti alcuni punti-chiave, tutti legati tra loro. Poi, dopo questo voto, la palla passa agli stati membri. A parole, tutti sono d’accordo sulla necessità di diminuire le emissioni a effetto serra, che causano il disordine climatico di cui sono ormai vittime le popolazioni. Ma più ci si avvicina a decisioni vincolanti e “pesanti”, non solo per l’industria ma anche per i singoli, più crescono i dissensi e le riserve.

GIÀ IL TESTO della Commissione è stato limato alla commissione clima del Parlamento europeo e nella seduta plenaria sono stati presentati centinaia di emendamenti nel dibattito sull’aggiustamento al programma Fit for 55. Il Green Deal, per di più, arriva in un momento difficile, con la guerra in Ucraina e la ripresa economica post-Covid, che spinge l’inflazione e fa aumentare in particolare il prezzo dell’energia. I governi europei temono un’esplosione di gilet gialli in tutto il continente. Dietro l’opposizione alle misure vincolanti ci sono le lobbies, che manovrano per evitare di pagare un prezzo troppo alto.

Il presidente della commissione clima del Parlamento europeo, il francese Pascal Canfin (Renew), teme «uno tsunami di lobbies» a Strasburgo in queste ore. S&D, Verdi e Left denunciano il peso delle pressioni degli interessi economici, che mettono a rischio il voto. Il principale gruppo, il Ppe, chiede più «tempo» per adattarsi, ma la preoccupazione per l’occupazione e il potere d’acquisto sono presenti anche in altri gruppi e giocano anche gli interessi nazionali. L’estrema destra, che cala la carta populista della semplificazione, ha un’idea: con un emendamento a ogni voto, pretende di «cancellare» tutte le proposte del Green Deal e continuare come prima, senza preoccuparsi per il clima.

IL «PACCHETTO» degli 8 voti va dal sistema di scambio delle quote di emissioni di Co2, l’Ets (European Trading System) alla carbon tax alle frontiere esterne della Ue, per tentare di non «importare» Co2 ed evitare le delocalizzazioni opportuniste, dalla revisione della spartizione degli sforzi per decarbonare tra paesi Ue al Fondo sociale per il clima, (che dovrebbe venire finanziato dal 25% delle entrate degli stati grazie agli Ets2, cioè a un sistema di scambio di quote di emissioni esteso al di là dei grandi gruppi industriali) alla revisione del regolamento sull’utilizzazione di terre e foreste, che fissa gli obiettivi per l’assorbimento di Co2 attraverso pozzi di carbonio, dal nome gioioso Lulucf, fino alle nuove norme per le auto, con l’ipotesi di proibire la vendita dei veicoli a benzina e diesel nel 2035 (ma ieri il Ppe ha chiesto di rimandare e limitare), oltre a due misure per imitare le emissioni del settore dell’aviazione e del trasporto marittimo.

Dal 2005 nella Ue è in vigore il sistema di scambio delle quote di Co2. Più di 10mila centrali e industrie hanno l’obbligo di disporre di un «permesso di inquinare» per ogni tonnellata prodotta di Co2. In sostanza, meno inquinano, meno pagano. I «permessi» sono messi all’asta e i prezzi sono formati sulla base della domanda-offerta. Ci sono però delle quote «gratuite», per evitare le delocalizzazioni verso aree economiche meno attente al clima (di qui l’importanza di una concomitante carbon tax alle frontiere).

MA NON È MAI il momento buono per fare riforme dolorose: oggi c’è l’inflazione e la guerra, nel 2008 c’era la crisi economica e così i prezzi della tonnellata erano stati fissati molto al ribasso, per non frenare ulteriormente l’economia (oggi c’è chi vorrebbe un «tetto» a 50 euro la tonnellata).

LA COMMISSIONE propone di eliminare le quote «gratis» nel 2030, data in cui dovrebbe entrare in vigore la carbon tax alle frontiere. Ma le quote di Co2 interessate sono per il momento solo quelle della grande industria (40% delle emissioni). Coinvolgere anche le case e il trasporto privato, per molti sarebbe esplosivo: i costi aumenterebbero per i privati, con il rischio di rivolte sociali. Certo, ci sono proposte per rimborsare i più disagiati (che producono meno Co2 ma su cui i costi pesano di più): però toccherà agli stati decidere se e come sovvenzionare.