Lobbisti di tutta Europa, unitevi: la carica dei 40mila
Il Qatargate ha squarciato un velo sull’influenza delle lobby a Bruxelles (grazie all’inchiesta belga, non interna alle istituzioni europee), con un’eco enorme perché il caso è esploso mentre si svolge nel paese sotto accusa – che rifiuta ogni addebito – il controverso mondiale di calcio. Quattro persone in carcere, 1,5 milioni di euro recuperati dalla polizia belga, l’eurodeputata Eva Kaili, che è in detenzione, destituita ieri dalla carica di vice-presidente con 625 voti (1 contrario, 2 astensioni).
Lo scandalo di corruzione rivela molto del Qatar, ma anche delle pratiche delle lobby e della corruzione nella Ue. Già nel 1998, la Commissione guidata da Jacques Santer era stata obbligata a dimettersi in blocco per le accuse di corruzione. La pratica delle “revolving door” di ex commissari è stata nel mirino, prima di imporre qualche limite di tempo: gli “ex” sono molto corteggiati per le conoscenze dei meccanismi del sistema.
BRUXELLES È PRESA d’assalto dai lobbisti, c’è un esercito secondo al mondo solo a quello di Washington. Ufficialmente, ci sarebbero 12.500 lobbisti attorno alle istituzioni europee, in realtà il loro numero è molto superiore: secondo Transparency International siamo più vicini ai 40mila addetti. Secondo uno studio del 2012, si tratta di un affare che pesa complessivamente più di 3 miliardi l’anno (per esempio, il Consiglio europeo dell’industria chimica spende sui 12 milioni l’anno, Monsanto sui 7 milioni ecc.).
CI SONO TUTTI i settori: business, consulenze, ong, think tank del mondo accademico, autorità locali, religioni, ma anche geopolica e diplomazia. Si va da Europatat (che difende i produttori di patate) a Amcham, per gli interessi di una sessantina di grandi imprese Usa, tra cui Chevron, Walt Disney, Pfizer (la presidente della Commissione Ursula von der Leyen è nel mirino per i contratti sui vaccini Covid). Pricewaterhouse, una società di consulenza, rappresenta per esempio 350 multinazionali per le ottimizzazioni fiscali, come ha rivelato l’inchiesta Luxleaks. Il Marocco ha fatto lobby per la questione del Sahara occidentale.
Nella Ue esiste un Registro di trasparenza, dove le lobby sono invitate a iscriversi, intendendo per lobby “tutte le attività il cui scopo è di influenzare direttamente o indirettamente l’elaborazione o la realizzazione politica e i processi di decisione delle istituzioni della Ue”. Dal 2011 è comune a tutte le istituzioni. L’iscrizione è facoltativa, ma senza di essa non è possibile prendere appuntamento con membri della Commissione o delle direzioni generali. Però molti sfuggono: già queste regole sono state estese solo di recente al Consiglio, mentre non riguardano gli stati extra Ue, ogni incontro con un eurodeputato è considerato “scambio diplomatico”. Fino al 2013, società come Apple, Nissan, Heineken o le banche Hsbc e Ubs non erano iscritte.
I LOBBISTI INTERVENGONO a monte, per scrivere dei testi di legge o degli emendamenti, operano quella che viene definita una “cattura del regolatore” per i loro interessi, gruppi di esperti partono all’assalto dei funzionari e delle varie Dg (direzioni generali) anche delle agenzie specializzate della Ue (Ema, Echa, Efsa ecc.).
Nel 2016 la Commissione ha fatto una proposta per rendere obbligatoria l’iscrizione al Registro e per la creazione di un comitato etico e deontologico indipendente. Ma per ora ci sono pochi controlli, nessuna sanzione né protezione per i whistleblower.
Un esempio clamoroso del funzionamento delle lobby si è avuto di recente con la legge clima della Ue del 2021, Fit for 55, che prevede una riduzione delle emissioni di gas a effetto serra del 55% entro il 2030 e la neutralità carbonio nel 2050.
PASCAL CANFIN, presidente della commissione Ambiente dell’Europarlamento, ha parlato di “tsunami di lobby”, InfluenceMap ha calcolato che il settore automobilistico, tra marzo e settembre ha organizzato 32 riunioni con degli europarlamentari che lavorano per la riduzione delle emissioni di Co2, 22 per esporre le ragioni di chi si oppone alla fine delle auto termiche e solo 6 a favore. Eurofer, la Federazione dell’industria tedesca, Thyssenkrupp hanno organizzato 52 riunioni per cercare di evitare la fine delle quote gratis di Co2. Business Europe cerca sempre di imporre il minimo denominatore comune.
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