«Mitra Hajjar è stata arrestata dopo una perquisizione della sua abitazione», ha twittato Mehdi Kuhyan, membro del comitato per il sostegno legale e giudiziario ai cineasti presso la Khaneh Sinama (Casa del cinema). La notizia è stata subito rilanciata dal quotidiano riformista Shargh.

NATA A MASHHAD NEL 1977, Mitra Hajjar è una delle attrici iraniane più rinomate. Parallelamente all’attività cinematografica e teatrale, porta avanti campagne di sensibilizzazione nel campo della salvaguardia dell’ambiente e delle risorse naturali. Tra le prime celebrità iraniane a essersi esposte sui propri canali social a favore delle manifestazioni in patria e all’estero, era subito finita nel mirino delle autorità. La settimana scorsa era stata convocata dalla magistratura con altre cineaste – tra cui Baran Kowsari (figlia della regista Rakhshan Bani Etemad) e Elnaz Shakerdust – ritenute colpevoli di aver appoggiato le proteste.

In questi mesi di dissenso, innescato dalla morte della ventiduenne Mahsa Amini, le autorità di Teheran hanno monitorato registe e attrici che, come tante personalità del mondo dello sport, hanno preso posizione contro il regime. La leadership della Repubblica islamica teme da sempre il dissenso dei cineasti, tant’è che il regista Jafar Panahi è stato per anni agli arresti domiciliari e da luglio è in carcere.

SULL’IMPORTANZA DEL CINEMA come espressione della società, Francesco Virga, produttore e presidente di DOC IT, l’associazione italiana dei documentaristi, racconta al manifesto: «Il cinema iraniano è stato costante e autentico specchio delle inquietudini e dei desideri di liberazione che si agitavano nella società iraniana e che la repressione del 2009 non aveva spento. Per questo ha sentito e rappresentato la voglia di verità e libertà ben prima dell’erompere del movimento rivoluzionario attuale».

Di fatto, «il cinema iraniano ha anticipato quello che stava per accadere» e per questo, continua Virga, «è diventato l’obiettivo del progressivo giro di vite del regime che si è stretto sul documentario e sul cinema con una progressione impressionante di arresti e condanne. Un regime che nega la verità non può accettare che questa assenza venga messa sotto gli occhi di tutti. I registi e le registe – tra le voci più coraggiose del cinema attuale ci sono tante donne – hanno mostrato per allusione, metafora o a volte con coraggiosa chiarezza che il re, o meglio il mullah è nudo». Paradossalmente, aggiunge Virga, «in questi anni la Repubblica islamica ha permesso al cinema iraniano di crescere, ma si è trattato di un rapporto contraddittorio e schizofrenico».

Da una parte, spiega Virga, «le autorità hanno fatto crescere l’industria cinematografica, permettendo lo sviluppo di diverse generazioni di cineasti che parevano godere di margini più ampi di libertà, nonché co-produzioni internazionali su temi che mettevano a nudo le contraddizioni politiche della società iraniana. Dall’altra parte, quando i frutti di questa libertà si manifestavano, lo ha represso, tant’è che molti e molte non hanno avuto altra strada che l’esilio. Chi è rimasto ha continuato a fare un cinema sempre più “piccolo” e semiclandestino (pensiamo a Taxi a Teheran di Jafar Panahi) ma vivo e vicino al sentire di una larga parte del paese».

A TITOLO DI ESEMPIO, Virga cita il documentario «e in particolare le opere delle registe Firouzeh Khosrovani e Mina Keshavarz che hanno potuto coprodurre i loro documentari con l’estero, dando vita a pellicole che sono una chiara fotografia della cappa di oppressione che pesa sul paese».

A un certo punto, le autorità iraniane si sono però rese conto di quanto il cinema fosse «connesso con le aspirazioni montanti nella società. Per questo, lo ha messo al bando e hanno arrestato tutte e tutti gli autori». Arresti che precedono le proteste innescate dalla morte di Mahsa Amini: «Jafar Panahi, Mohammad Rasoulof e Mostafa Aleahmad sono stati arrestati a luglio, il regime già sentiva l’urgenza di tappare la bocca al cinema consapevole della sua connessione viscerale con la società, nonché la capacità di quella scena artistica – che include anche sceneggiatori, attrici e attori – di risvegliare la coscienza civile».