In Ungheria aumentano le manifestazioni di protesta contro la politica scolastica del governo. Il malcontento degli insegnanti è sempre più evidente e ha motivazioni economiche e di carattere professionale. Ne parliamo con György Gábor, storico delle religioni, filosofo, docente universitario e capo di dipartimento all’Università Rabbinica di Budapest.

Una protesta di insegnanti del gennaio scorso a Budapest -foto Ansa

Professore, il disagio degli insegnanti ungheresi dura da molto tempo ma la soluzione di questo problema sembra ancora lontana. Perché?
In Ungheria il mondo dell’istruzione è da tempo in una situazione deprimente e necessita di riforme serie ed essenziali. Tuttavia, per ragioni politiche, il governo Orbán considera l’istruzione come un settore strategico subordinato agli obiettivi del potere. Mentre il mondo sviluppato e civilizzato propone una società dell’informazione basata sulla conoscenza, che renda gli studenti autonomi, competenti e dotati di pensiero critico per il mercato internazionale del lavoro, il potere politico ungherese ha l’obiettivo opposto. Non è un caso che Orbán parli di una società basata sul lavoro. L’obiettivo del potere è l’indottrinamento: la «produzione in serie» di soggetti obbedienti e privi di pensiero critico, che non parlino le lingue straniere, abbiano una concezione morale conservatrice e siano funzionali alla «democrazia illiberale». Va anche detto che coloro i quali iniziano gli studi in Ungheria e provengono da ambienti svantaggiati sono praticamente esclusi dalla possibilità di recuperare. Rimangono per sempre “sudditi” del regime di Orbán, tagliati fuori dal mondo. In altre parole, l’obiettivo del governo non è quello di migliorare e modernizzare la situazione educativa, né di prendere in considerazione i veri interessi di insegnanti, studenti e genitori, ma il contrario. Vorrei aggiungere “a bassa voce” che il progetto di legge in preparazione prevede addirittura la possibilità per l’amministrazione scolastica di esaminare e controllare i dispositivi personali degli insegnanti (computer, telefoni, ecc.) in qualsiasi momento. O che gli insegnanti e gli studenti non possano esprimere le loro opinioni agli organi di informazione.

Sembra anche che la professione dell’insegnante sia oggi tra le meno ambite in Ungheria. La cosa mi pare grave.
In effetti è così. Parliamo di un paese che in passato vantava insegnanti molto ben preparati. Attualmente qui gli stessi non beneficiano di un trattamento adeguato né finanziariamente né moralmente ed è come se non ci fosse bisogno di veri “maestri” e di personalità. I docenti possono utilizzare solo i testi decisi dal potere centrale, e così l’insegnante viene ridotto ad una specie di automa. L’orario di lavoro è sproporzionato, si parla di 22-26 ore come minimo che, con le supplenze obbligatoriamente imposte dai presidi, può arrivare a 32 ore settimanali. Poi ci sono le eventuali supplenze a pagamento, la revisione dei compiti, la preparazione delle lezioni, il lavoro da coordinatore di classe e varie altre innumerevoli incombenze burocratiche e amministrative. Gli insegnanti sono totalmente sfruttati, ricattati, impauriti e messi in difficoltà, e la loro retribuzione è avvilente. Faccio un esempio: un insegnante di liceo con 33 anni di servizio, con due specializzazioni (storia e letteratura) che deve svolgere anche la funzione di coordinatore di classe (la sua indennità è di 40.000 huf, pari a circa 106 euro al mese), guadagna circa 350.000 huf netti al mese (circa 930 euro). Ecco perché la professione dell’insegnante è sempre meno ambita.

Sappiamo anche che la polizia si è adoperata per reprimere le manifestazioni degli insegnanti con la violenza. Anche questo è significativo.
Si figuri che in Ungheria il ministro degli Interni guida anche il dicastero dell’istruzione e della sanità. Questo, a mio parere, è un caso unico nel mondo “civilizzato”. Ciò la dice lunga sulla situazione ungherese. Di recente, gli studenti delle scuole secondarie, parlo di ragazzi di 15-17 anni, hanno manifestato davanti all’ufficio del primo ministro per i diritti dei docenti, della scuola e per il loro futuro. Erano lì per chiedere un’istruzione degna di questo nome e che in futuro permetta loro di essere competitivi sul mercato internazionale del lavoro. Non hanno commesso alcuna violenza, si sono presentati con cartelli e striscioni, ma hanno tentato di smantellare il cordone intorno all’edificio, che è recintato da anni in modo illegale; che è illegale non lo dico io ma il tribunale. Gli studenti chiedevano un confronto con il primo ministro e con i responsabili dell’istruzione, ma questi ultimi erano nascosti dietro ai cordoni e hanno respinto la richiesta dei dimostranti. Molti degli insegnanti che avrebbero voluto un tavolo di concertazione sono stati immediatamente licenziati. Contro i ragazzi che protestavano pacificamente il ministro degli Interni, ha inviato la polizia, molti sono stati aggrediti con i gas lacrimogeni da una distanza di 2-3 centimetri, altri manganellati e diversi sono stati portati via in manette e tenuti in custodia per tutta la notte. La brutalità insensata dell’azione della polizia era chiaramente volta a intimidire i manifestanti, ma dimostra chiaramente che il regime autocratico-dittatoriale ha paura di questi ragazzi e ragazze di 15-16 anni, di questi liceali vestiti in jeans e maglietta.

Su chi possono contare gli insegnanti per un sostegno a livello di opinione pubblica?
Purtroppo le diverse categorie di lavoratori, gli insegnanti, i medici, gli operatori sanitari, gli accademici, i ricercatori, gli operatori culturali, gli autisti di autobus, i vigili del fuoco e così via, non possono contare su nessuno, se non su loro stessi. Trentatré anni fa l’Ungheria era una dittatura. Da allora è passato del tempo, ma tredici anni fa è andata al potere una nuova dittatura autocratica. Il problema è che prima di allora in Ungheria non si è formata una cittadinanza consapevole, capace di lottare per i suoi diritti e per quelli degli altri. Qui regna la paura, una paura soprattutto esistenziale: se qualcuno non piace alle autorità, gli danno la caccia, lo licenziano, lo annientano in termini esistenziali. Se lavora nel privato,, e le autorità non possono imporre automaticamente il licenziamento delle persone “scomode”, ricattano il suo datore di lavoro. Se un imprenditore non appoggia il governo, entra in azione il fisco che in modo menzognero e falso lo costringe a chiudere la sua azienda. Oppure gli “offrono” quattro soldi per “rilevarla”, ed è un’“offerta” che in genere è più saggio accettare. In altre parole, c’è poco spazio per la solidarietà reciproca che è, a mio avviso, uno dei problemi più importanti. Io però ho fiducia nei giovani di oggi, che forse non si sono ancora fatti piegare dal regime di Orbán.