Europa

Lisbona, il deficit di bilancio è la battaglia più difficile

Lisbona, il deficit di bilancio è la battaglia più difficileDa sinistra: il primo ministro portoghese, António Costa, e il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker

Bruxelles Oggi l’Ecofin deciderà sulle sanzioni

Pubblicato più di 8 anni faEdizione del 12 luglio 2016

Oggi l’Ecofin riunito a Bruxelles dovrà decidere se sanzionare il Portogallo per non essere riuscito a contenere il deficit di bilancio. Indipendentemente da quella che sarà la decisione la battaglia che il Portogallo di António Costa sta combattendo per ridare fiato al Paese sembra essere decisamente più difficile da vincere di non quella che si è disputata allo State de France domenica sera.

Nonostante i partiti populisti siano in crescita un po’ per tutto il continente, la tecnocrazia europea sembra incapace di ragionare in termini di consenso. Il gioco schietto e aperto che si è visto in campo a Parigi è ben differente da quello a tratti molto oscuro che si gioca all’interno dei Consigli europei dove i ministri dei vari paesi sono vincolati alla discrezione. Già strana democrazia quella che non palesa con chiarezza i suoi percorsi decisionali e non attribuisce responsabilità definite ai suoi decisori.
Ciò che è importante quindi, al di là del fatto che le sanzioni vengano comminate oppure no, è che qualunque sarà la decisione presa, la politica appare sottomessa a logiche epistemiche e tecnocratiche che prescindono da ogni legittimazione democratica. A giocare un ruolo cruciale sono organizzazioni sovrannazionali il cui obiettivo quasi esclusivo è quello di accrescere la propria influenza a detrimento dei parlamenti.

Visto da Lisbona, quindi, Fondo Monetario Internazionale (Fmi), Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo (Ocse) e Unione Europea (Ue) – pur divergenti su alcuni aspetti – appaiono tuttavia compatte su un punto: il peso della crisi finanziaria dev’essere scaricata sui ceti più deboli e su quest’aspetto non sembrano esserci ripensamenti. L’Fmi pretende dalla Commissione intransigenza, le regole stabilite devono essere rispettate, questo per «ridare credibilità al sistema». Angel Gurría, segretario generale dell’Ocse, in un’intervista rilasciata al Jornal de Negocios, mostra un atteggiamento più morbido, chiede alla Commissione di essere clemente ma guarda comunque con preoccupazione alla decisione presa recentemente dal governo portoghese di alzare il salario minimo prescindendo dagli indici di produttività.

Insomma gli obiettivi esclusivi, o quasi, di Ocse, Fmi, Commissione Europea e, quindi, le strategie a esse legate, sembrano essere quelle di salvare il sistema finanziario. Ridurre il divario enorme che si è creato tra ricchi sempre più tutelati e tutto il resto della popolazione sembra non contare e su questo punto il braccio di ferro che si sta giocando tra Lisbona e Bruxelles (passando per Washington e Berlino) è paradigmatico. I margini di manovra sono ristrettissimi e le politiche dell’austerità redistributiva devono affrontare un fuoco di sbarramento molto ampio.

Dopotutto è sempre più evidente come la accountability politica per chi occupa ruoli di dirigenza sia spesso una preoccupazione secondaria. L’ex presidente della Commissione europea José Manuel Durão Barroso, già primo ministro di centro destra in Portogallo, è stato recentemente contrattato, come presidente non esecutivo, dalla Goldman Sachs. Una scelta, questa, che non manca di suscitare preoccupazioni perché la fluidità tra incarichi pubblici e mondo finanziario lasciano intendere, quantomeno, una mancanza di autonomia e, quindi, di neutralità nei processi decisionali. Quello di Barroso non è un caso isolato: Maria Luís Albuquerque, ex ministro delle finanze nel governo di Pedro Passos Coelho (sempre centro-destra), sarà amministratrice non esecutiva alla Arrow Global. Vitor Gaspar, che ha preceduto Albuquerque nello stesso governo, siede ora all’Fmi e Álvaro Santos Pereira, titolare del dicastero dell’Economia (stesso governo), è stato contrattato all’Ocse.

Si parla di crisi della democrazia ma poco si fa per risolvere la questione più importante: quella dell’assoluta assenza di rispondenza (in inglese responsivness) nei confronti dei cittadini. Eppure i sondaggi mostrano in modo inequivocabile come basti poco per (ri)costruire un rapporto di fiducia, ma la rielezione, forse, non è più uno degli obiettivi principali di un politico di professione.

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