Galizia – regione spagnola a nord del Portogallo – ha approvato all’unanimità una dichiarazione, presentata dal Partido Popular, di sostegno alla realizzazione di un impianto per la fabbricazione di lyocell, una fibra tessile ottenuta dalla cellulosa. Il progetto, senza fornire molti dettagli, veniva presentato come ecologicamente sostenibile e fonte di sviluppo economico e occupazionale per la provincia di Lugo. Il sostegno politico serviva perché il «progetto Gama», per andare in porto, ha bisogno di ottenere 250 milioni di fondi Next Generation dell’Unione Europea, un quarto del finanziamento totale necessario. Dopo il voto, sul progetto è calato il silenzio finché i dettagli sono diventati noti, scatenando denunce e proteste.

LA GREENFIBER, «fabbrica di fibra sostenibile» che dovrebbe sorgere a Palas de Rei, piccolo comune di 3.300 abitanti, in realtà è un mega impianto per la produzione di cellulosa che avrebbe un impatto ambientale, umano ed economico disastroso su un territorio che vive di agricoltura, allevamento e turismo (ospitando il Cammino di Santiago). L’impianto occuperà 366 ettari e produrrà ogni anno 400 mila tonnellate di cellulosa, 200 mila di lyocell, biomassa e gesso, consumando 1,2 milioni di metri cubi di legno di eucalipto, il 20% di quello tagliato in Galizia. Difficile credere, come assicurano i promotori, che non verranno estese le piantagioni della monocoltura che disidrata i terreni, facilita gli incendi e riduce la biodiversità.

INOLTRE LA FABBRICA CONSUMERA’ ogni giorno 46 milioni di litri d’acqua provenienti dal fiume Ulla, quanto l’intera provincia di Lugo; si tratta del 9% della portata totale di un corso d’acqua che diminuisce progressivamente a causa della diminuzione delle piogge e dell’aumento delle temperature. Ogni giorno 30 milioni di litri di acqua verranno rilasciati a una temperatura di 27 gradi, scaldando il fiume che sfocia nell’estuario dell’Arousa e minacciando i tanti allevamenti di molluschi – per lo più a conduzione familiare – che fanno dell’area la più produttiva della Spagna.

ANCHE SE L’AZIENDA PUNTA A RICEVERE i fondi europei per la decarbonizzazione industriale, il progetto non prevede alcuna stima delle emissioni di gas serra, che secondo l’Associazione per la Difesa Ecologica della Galizia (Adega) ammonterebbero a 100 mila tonnellate l’anno. La sua ciminiera, alta 75 metri, emetterà inoltre particelle e gas altamente contaminanti, di cui alcuni pericolosi per la salute umana e animale, come ammoniaca, ossidi di zolfo e di azoto (alla base delle piogge acide), composti organici volatili e particolato. Secondo le stime di Adega, l’impianto di Palas de Rei emetterebbe emissioni superiori al totale prodotto dalle otto le fabbriche simili esistenti attualmente in Spagna.

ANCHE LE RICADUTE OCCUPAZIONALI sono assai minori di quelle annunciate: l’impianto impiegherebbe 500 lavoratori e non i 2000 inizialmente preventivati, in un’area a bassa disoccupazione. Di contro, la produzione di pasta di legno metterebbe a rischio centinaia di aziende che producono latte, miele, carne (spesso con certificazione biologica) e molluschi; alcune di queste potrebbero essere espropriate per far posto al mega impianto industriale. Così, mentre il sostegno dei partiti di sinistra è subito venuto meno – il Blocco Nazionalista Galiziano, Podemos e Sumar chiedono lo stop al progetto – nelle ultime settimane le proteste si sono moltiplicate e sono aumentate d’intensità. Tecnici, ambientalisti, allevatori, contadini e residenti descrivono il progetto come una «bomba ambientale».

IL 26 MAGGIO A PALAS DE REI sono arrivate 20 mila persone provenienti da tutta la Galizia, chiamate a raccolta dal coordinamento Ulloa viva che denuncia lo sfacciato greenwashing messo in atto dalle aziende coinvolte. Lo slogan Altri non (no ad Altri) – dal nome della multinazionale portoghese coinvolta nel progetto – campeggiava su magliette, bandiere, striscioni e cartelli. A guidare le mobilitazioni sono soprattutto donne, a partire dalle due portavoce di Ulloa Viva, Mónica Cea e Zeltia Laya.

IL 12 GIUGNO I RACCOGLITORI DI MOLLUSCHI e i pescatori hanno invaso l’estuario dell’Arousa con 300 imbarcazioni, tra cui la Arctic Sunrise di Greenpeace, per dire no all’ecocidio. Il 30 giugno 30 mila persone hanno protestato davanti al palazzo della Xunta (il governo regionale) a Santiago de Compostela. A difendere il mega impianto è rimasto solo il Partito Popolare, che con Alfonso Rueda guida la Xunta. D’altronde l’impresa Greenfiber, oltre che dalla multinazionale Altri (75%) è formata anche da Greenalia (25%), azienda galiziana produttrice di energia rinnovabile. Nel suo consiglio d’amministrazione siede Beatriz Mato, ex assessore regionale al Lavoro e poi dell’Ambiente nella precedente Xunta, guidata dall’attuale leader della destra spagnola Alberto Núñez Feijóo.

ESPONENTI LOCALI DEL PARTITO SOCIALISTA hanno espresso forti critiche, ma la direzione del Psoe non si sbilancia, e l’ex ministro dell’Industria socialista José Blanco ha un ruolo chiave nella società di consulenza che ha redatto il progetto. Dai media compiacenti l’ad. di Altri continua ad accusare i detrattori di diffondere «dati falsi» ma anche solo la storia recente della sua azienda parla da sola. Tra il 2015 e il 2018 gli scarichi di uno dei suoi stabilimenti portoghesi, quello di Celtejo, annerirono l’acqua del fiume Tago che poi si ricoprì di uno strato di schiuma alto due metri. Altrif fu obbligata a montare un depuratore ma in mancanza di controlli è difficile dire quale sia l’attuale impatto della produzione di pasta di cellulosa sul principale fiume portoghese. I comitati non si danno per vinti e hanno presentato alla Xunta 23 mila denunce contro il progetto. L’obiettivo è far saltare il finanziamento europeo senza il quale, ammette la multinazionale, l’impianto non si farà.