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Julio Bressane, l’omaggio a Pesaro

Julio Bressane, l’omaggio a Pesaro

Mostra del cinema di Pesaro Segni, miti e forme erranti che ci giungono dal mondo classico e da forze aborigene

Pubblicato 4 mesi faEdizione del 15 giugno 2024

Il saggio dal titolo L’elemento sperimentale nel cinema nazionale (pubblicato da Julio Bressane nel 1990 nella raccolta Alguns), si concludeva con queste due frasi: «Il cinema sperimentale esiste in Brasile dal 1898. Noto che il nostro cinema è sperimentale o non è!». Il testo iniziava infatti affermando che il primo film sperimentale in Brasile è stato quello dei fratelli Segreto, che nel 1898 dal ponte della nave avevano filmato in travelling con una macchina da presa dei Fratelli Lumière l’ingresso nella Baia di Guanabajara.

Nel testo venivano poi evocate le riprese del maggiore Tomás Reis che aveva accompagnato nel 1923 la spedizione di Random nell’Alto Xingu filmando la «Visão do Paraîso», immagini degli indigeni del Brasile mitico, «che hanno lasciato un segno duraturo nella nostra cinematografia», un vero e proprio paradigma.

Poi naturalmente Limite, il grande capolavoro di Mário Peixoto (1930), che « è già cinema del cinema, implica la creazione e ricreazione dell’immagine». Il cinema «come organismo intellettuale smisuratamente sensibile, che si muove al confine di tutte le arti, le scienze, la vita…», radicalizzando la formula di Gance: «il cinema è la musica della luce». E negli anni ’30 il mercante siriano Benjamin Abraão aveva filmato nel sertão il brigante Lampião e i suoi uomini, immagini perturbanti, brutaliste, a loro volta paradigmatiche. «Il maggiore Reis e Benjamin Abraão formano l’asse centrale da cui deriva e attraverso cui passa tutto ciò che vale nel nostro cinema».

Tutto questo, e molto altro, lo ritroviamo oggi nel nuovo film di Bressane, un’opera di montaggio realizzata con Rodrigo Lima, che viene presentata in prima mondiale a Pesaro, Relâmpagos de críticas murmúrios metafísicos: un viaggio lungo oltre un secolo, in cui vediamo transitare e assimilare in film brasiliani di tutti i decenni segni e clichés dei formalismi erranti della storia del cinema, da José Medina a Humberto Mauro, da Paulo César Saraceni a Fernando Coni Campos, da Chiaca de Garcia a José Mojica Marins, da Rogério Sganzerla a Bressane medesimo.

Bressane era del resto già tornato più volte in passato a riflettere sul cinema e la sua storia, internazionale e brasiliana, e sui cineasti per lui più essenziali, non solo in numerosi scritti ma anche in diversi film, E proprio l’anno scorso, quasi una premessa a Relâmpagos, ha realizato un breve film di montaggio di 12 minuti che sarà mostrato a Fuori Orario: Ideograma: limite/fada do oriente/agonia/abismu, in cui quattro piani sequenza dei film citati nel titolo sono messi a confronto nella loro ripetizione trasgressiva per riflettere sul movimento “di velamento e disvelamento del cinema nei film».

Limite è stato in questo senso il film brasiliano fondatore, pur essendo rimasto a lungo «una cometa invisibile», il film che «distingue e configura per la prima volta il proprio segno cinematografico. Il segno dell’io cinema». A Agonia, dove non a caso risuona la parola di Pessoa, sarà la più straordinaria e geniale opera mai realizzata da un regista come controcanto a partire da un’altro film, esattamente Limite,di cui vengono «ricreati» i topos di alcune sequenze.

Bressane ha incontrato il cinema fin dall’adolescenza, quando la madre gli regalò una macchina da presa 16 mm. A Longa Viagem de Ônibus Amarelo, anche questo realizzato insieme a Rodrigo Lima, è un film di oltre sette ore che assimila, rimonta e dirotta brani di 58 titoli della sua stessa filmografia, compresi film familiari, realizzati tra il 1959 e il 2021, l’anno di Capitu e o capitulo. Il film viene presentato a Fuori Orario in prima assoluta per l’Italia, e in qualche modo proprio in connessione con Relâmpagos a Pesaro. Non autobiografia ma Atlante al modo di Aby Warburg, ma anche fantasmagoria della luce, fantasia musicale, come già era stato Rua Aperana 52. Sarebbe infatti impossibile pensare al cinema di Bressane come semplice esperienza «autoriale» senza evocare invece «tutti i nomi della storia» e la persistenza del passato ancestrale delle Americhe. Un cinema, il suo, di segni, miti e forme erranti che ci giungono fin dal mondo classico e nello stesso tempo scaturisce dalla spinta pulsionale di forze aborigene, fatto insieme di antropofagia e aderenza al suolo, erudito e sensuale, filologico e erotico. Nella terra dei suoi film hanno errato via via San Girolamo e Padre António Vieira, Fernando Pessoa e Friedrich Nietzsche, Mário Reis e Oswald De Andrade, la prosa metaromanzesca di Machado de Assis e la poesia concreta di Haroldo de Campos,…

Julio Bressane torna dunque a Pesaro 66 anni dopo aver presentato nel 1968, ancora sotto l’ombrello del Cinema Novo (oggi sappiamo quanto fosse del tutto provvisorio e imprestato), il suo primo lungometraggio, Cara a cara. Ed ha quasi un valore simbolico questo ritorno nel festival italiano giustamente più legato al Cinema Novo, dopo 56 anni di assenza. La rottura di Bressane col Cinema Novo, a datare dal 1969, lo portò per decenni a errare nell’attraversamento del deserto, da cui in Europa (e segnatamente in Italia) uscì molto gradualmente solo a partire dagli anni Novanta E torna a Pesaro non solo con Relâmpagos ma anche con la sua opera di finzione più recente, ancora inedita in Italia, Leme do destino, ultima perla della ricca fioritura di opere degli ultimi anni, di cui non si potranno non notare corrispondenze e differenze soprattutto con Filme de Amor e Educaçao sentimental. Ma non solo.

Diciamolo ancora una volta, dei cineasti emersi nella temperie della rivoluzione estetica e formale cinematografica degli anni Sessanta, Bressane è quello che con Godard (e in parte anche Ruiz), sia pure per strade diverse, si è spinto più lontano, compensando la povertà dei mezzi e l’isolamento cui è stato costretto con il genio del tempo e la tenacia della lunga durata, disseminando nel corso degli anni un’opera immensa e ormai ricca di oltre 60 titoli.

Con Bressane, maestro e inventore nella citazione e nel montaggio, e inquieto ricercatore quanto gli altri, più ancora che con gli altri si prova il senso dell’infinito, il perdersi nella vertigine, l’uscita permanente da sé nella forza inconscia, aborigena, ancestrale, della creazione del mondo. Godard aveva scritto a 21 anni che «la creazione artistica non fa che ripetere la creazione cosmogonica». La «forza aborigena del cinema», dunque, come forza anonima, inconscia, da cui veniamo trascinati in un movimento senza fine quale il dipanarsi sinuoso e serpentino dei tornanti della rua Aperana. L’eterno ritorno. L’eterna ripetizione. L’eterna Mnemosyne.

Non poteva dunque che essere la Belair, già segnata dal genio nietzscheano, a insediarsi e insidiarsi ancora una volta con forza al centro di Relâmpagos, con la lunga citazione di tutti i suoi sei film, tre di Bressane, tre di Sganzerla, che nel 1970 scatenarono la più aspra reazione del Cinema Novo. Nel 1975, nel citato Viola Chinesa, Grande Otelo, rivolgendosi a Bressane, aveva ben recitato: «la Belair é il vento che soffia da una patria cinematografica futura» .

Bressane, scopritore di stelle, è ora al lavoro su due nuovi film: Estrela Enigma e Pitico: Um Historiador de Província.

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