La scorsa settimana gli Stati uniti hanno celebrato il giorno dell’indipendenza numero 245 e le esplosioni di spari si sono mescolate ai botti dei fuochi d’artificio.

Non poteva esserci rappresentazione più icastica della festa nazionale tramutata in bagno di sangue.

Anche il 4 luglio, nel giorno dell’indipendenza degli Stati uniti, raffiche di proiettili hanno falciato parate di celebrazione a Chicago e Philadelphia, altre sparatorie pubbliche (una dozzina in tutto) hanno mietuto 15 morti, provocato 91 feriti e migliaia di persone traumatizzate.

Se non sono immagini da guerra civile certo fotografano un paese in profondo disagio psichico oltre che politico.

La nazione versa in una crisi costituzionale evidente nelle sentenze di una corte suprema deviata dalla maggioranza ultra conservatrice e installata come un ordigno ad orologeria vicino al cuore della democrazia.

Il primo frutto velenoso è stato l’aborto.

Abrogando la garanzia costituzionale di scelta individuale, un tribunale trasmutato in sinodo teocratico ha dato facoltà ai singoli stati di promulgare statuti diametralmente opposti in materia di aborto. L’ultima volta che gli stati si sono divisi riguardo libertà così fondamentali dell’individuo, l’unione si è spaccata in due. E oggi la federazione di stati costituita nel 1776 è in preda ad una crescente e angosciante sensazione di disgregazione.

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Le sparatorie dell’Independence day hanno dato il senso palpabile che l’arsenale di 400 milioni di armi da fuoco diffuse in una popolazione parossisticamente polarizzata possa presto essere nuovamente impiegato in una conflagrazione generale.

Negli ultimi cinque anni sembra essersi estinto ogni spazio di dialogo, compromesso o manovra politica.

Uno dei due partiti politici ha abbandonato il progetto democratico e persegue una propria “restaurazione” con lo zelo di una guerra santa.

Il progetto prevede un ritorno ad un tempo “mitico”, una grandezza immaginata che è codice per antichi equilibri di potere e gerarchie sociali, razziali e di genere. Nel disegno emergono i contorni di un integralismo religioso e suprematista che è componente fondante della nazione e che, spronato dalla paranoia di un “declino bianco” attivato dalla demagogia populista, punta ora a prendere il sopravvento con le buone e lo cattive.

Nelle manifestazioni di piazza compaiono sempre più spesso milizie armate, le assemblee scolastiche sono presidiate da urlatori “anti-woke”, i seggi elettorali da scrutatori “di fiducia” con ordini di confutare a priori esiti sfavorevoli. La fazione fanatica è in minoranza, ma costituita pur sempre da decine di milioni di persone sovrarappresentate da un sistema elettorale tarato per favorire stati rurali e scarsamente popolati.

Ma le tradizionali tecniche di soppressione dell’afflusso degli avversari e di pilotaggio dei seggi uninominali potrebbero presto diventare superflue.

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In autunno la Corte suprema prevede di giudicare un caso sulla facoltà dei singoli stati di selezionare in libertà i grandi elettori nelle presidenziali, a prescindere dalla volontà degli elettori (i quali – bisogna ricordare – non sono mai menzionati nell’articolo secondo della Costituzione che disciplina l’elezione del presidente).

Una tale sentenza originalista avrebbe l’effetto di dare agli stati conservatori, in minoranza popolare ma maggioranza numerica, il controllo della Casa bianca. Si profila insomma la possibilità concreta di uno stato para-democratico, controllato da un esecutivo e un potere giudiziario non popolarmente eletti e un parlamento bloccato – un governo permanente della minoranza.

I giudici originalisti potrebbero insomma completare il disegno eversivo dei rivoltosi che il 6 gennaio chiedevano all’allora vicepresidente Mike Pence di decidere l’elezione a tavolino a favore di Donald Trump.

La preoccupante deriva della prima democrazia occidentale è promossa dal partito repubblicano teso ormai ad abbandonare il progetto di democrazia multiculturale a favore di un ritorno alle presunte origini. E si vede ormai il punto finale di un progetto quarantennale per consolidare il programma liberista usando il sostegno dell’elettorato integralista religioso ottenuto con le “guerre culturali” (e la protezione del privilegio e dell’identità bianca).

Il matrimonio di convenienza fra plutocrati e fanatici ha finito per produrre aberrazioni come il “nazionalismo cristiano bianco” e il nazional-populismo di Trump che ora minacciano di destabilizzare concretamente la superpotenza occidentale.

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In gran parte l’opera è già compiuta. L’integralismo è di fatto al potere – come hanno dovuto constatare fin troppo concretamente le donne di 25 stati già riportati ad “origini” in cui bambine violentate incinte vengono costrette a portare a termine la gravidanza prodotta da incesto, un caso già registrato in Ohio.

Raccontare gli Usa oggi significa constatare una già avanzata mutazione genetica da democrazia liberale a stato ispirato da totalitarismo ideologico e religioso. Il modello è già largamente operativo in stati come il Texas e la Florida e funge da pericoloso modello per aspiranti emulatori nel mondo.

A loro volta gli estremisti americani seguono l’esempio di autocrazie europee, come ad esempio l’Ungheria di Orbán, nella fatale erosione di diritti civili, con la certezza che l’aborto sia solo l’inizio. Mentre il congresso è azzerato da una divisone paralizzante e il presidente assiste in gran parte impotente, ridotto a passare, come ha fatto ieri, un decreto che favorisce la creazione di consultatori in territorio amico vicino ai confini di stati ribelli ….il paragone che ha fatto Biden è stato quello degli interventi federali a favore della desegregazione degli stati razzisti negli anni ’60, ma francamente suggerisce una crisi del federalismo più simile semmai a quella del 1860 – il preludio della guerra civile.

Per le maggioranze liberal e intellettuali, per i giovani e le minoranze etniche ispaniche e afro americane destinate a subire in prima persona il neo autoritarismo prossimo venturo, è un brusco risveglio accompagnato da un disorientante senso di impotenza, simile a quello della rana che si accorge, forse troppo tardi, di trovarsi a bagno in una pentola sul fuoco.