Lin Bai e le registrazioni di chiacchiere femminili
Intervista Lin Bai è una scrittrice, poetessa e sceneggiatrice cinese. Una delle maggiori esponenti della scrittura del corpo (shenti xiezuo) e della corrente dell’individualismo (gerenhua)
Intervista Lin Bai è una scrittrice, poetessa e sceneggiatrice cinese. Una delle maggiori esponenti della scrittura del corpo (shenti xiezuo) e della corrente dell’individualismo (gerenhua)
Lin Bai è il nom de plume di Lin Baiwei. Originaria della città di Beiliu, nella provincia del Guangxi, Lin Bai è una scrittrice, poetessa e sceneggiatrice cinese. Una delle maggiori esponenti della scrittura del corpo (shenti xiezuo) e della corrente dell’individualismo (gerenhua).
Pur avendo esordito come poetessa e sceneggiatrice, attualmente è conosciuta soprattutto per i suoi romanzi, in Cina considerati estremi per la libertà con cui trattano temi quali il narcisismo, l’autoerotismo e l’omosessualità femminile. È una scrittrice cinese d’avanguardia.
Le sue opere più note riguardano l’omoerotismo femminile nella Cina post-Mao e sono anche conosciute per essere molto personali e autobiografiche. Nel 1994 pubblica La guerra di una persona sola (inedito in Italia).
Altra caratteristica distintiva dei suoi testi sono le ambientazioni e le atmosfere, che sono spesso esotiche ed oniriche. Registrazioni di chiacchiere femminili ha vinto il Media Awards for Chinese Literature, una delle tante onoreficenze che le sono state conferite. In Italiano sono disponibili La panca nel loggiato (1993) (Halley editrice, 2006, trad. Silvia Pozzi) e il racconto Gatta: giorni di ebbrezza, trad. Maria Gottardo e Monica Morzenti, nella raccolta Rose di Cina (E/O, 2003).
Professoressa Lin, grazie di aver accettato la nostra intervista. So che lei ha passato molti anni a Wuhan e adesso si trova a Pechino, giusto? Come state, lei e la sua famiglia?
Sì, esatto. Ho trascorso quattordici anni a Wuhan: ho lavorato quattro anni all’università e dieci anni come scrittrice alla Wuhan Federation of Literary and Art Circles (WFLAC). Adesso vivo perlopiù a Pechino. Le misure di isolamento a Pechino sono state molto rigide. Avevamo bisogno di un pass per entrare e uscire dal proprio complesso residenziale. Questo pass poteva essere ottenuto col documento di identità e ad ognuno ne veniva concesso uno solo. Potevamo fare la spesa soltanto online e veniva lasciata al primo piano fuori dal cancello. Prima di rientrare in casa dovevamo disinfettare le suole delle scarpe e anche la borsa degli acquisti doveva essere spruzzata col disinfettante. Così siamo rimasti chiusi in casa per quattro mesi. Io ho continuato a scrivere poesie. Dal sette febbraio a oggi ne ho scritte ben 115. Devo dire che il tempo è trascorso molto velocemente.
La sua carriera di scrittrice inizia molto presto. A 19 anni comincia a scrivere poesie, successivamente scrive perlopiù romanzi. Dal punto di vista dell’ispirazione e della motivazione, qual è la differenza principale tra scrivere una poesia e un romanzo?
Scrivere poesie è più misterioso ed attinge a una dimensione più emotiva. Scrivere poesie richiede meno tempo ma non per questo è più semplice. Sinceramente credo che scrivere poesie elevi il proprio livello spirituale e al contempo stimoli notevolmente la nostra mente. Quest’anno sono stata oltremodo produttiva. Da febbraio a oggi ho scritto 115 poesie. Un numero maggiore rispetto al totale delle poesie che avevo scritto negli anni precedenti.
In tutti questi anni in cui ha continuato a scrivere in maniera indefessa la sua motivazione è rimasta sempre inalterata?
Direi di sì. Ho sempre voluto scrivere e rapportarmi con un interlocutore ben specifico, che potrebbe essere inteso come il mondo o come una versione distante di me stessa. Emily Dickinson scrisse: “Questa è la mia lettera al mondo che non ha mai scritto a me”. Questo suo verso mi ha sempre toccata nel profondo.
Molti lettori forse non sono al corrente che Lin Bai è il suo nom de plume. Il suo vero nome è Lin Baiwei. Le va di spiegare ai nostri lettori il motivo per cui ha scelto proprio Lin Bai come nome di penna?
Perché è più semplice. In realtà non è più il mio nome di penna, lo uso anche nella vita di tutti i giorni da una decina d’anni. Ho cambiato il nome anche sulla carta d’identità. Quindi ormai Lin Bai è il mio nome a tutti gli effetti.
All’età di tre anni suo padre le è venuto a mancare. Sempre in quel periodo le venne affibbiata l’etichetta di “giovane istruita”, per cui venne mandata in campagna durante la Rivoluzione Culturale per essere “rieducata dalle masse”. La sua scrittura è stato influenzata da questi due eventi? In che modo?
Altroché. Sono stati due eventi decisivi. Che effetto hanno avuto su di me e sulla mia scrittura? Non ci ho mai pensato.
Lei ha vissuto ben quattordici anni a Wuhan. Con gli eventi degli ultimi mesi, l’opinione mondiale guidata e spesso fuorviata dai mass media non ha una grande considerazione di questa bella città. Le va di condividere con noi la Wuhan che serba in cuor suo? Che cosa rappresenta per lei Wuhan? Come si riflette nelle sue opere?
Pur avendo vissuto vari anni a Wuhan, in realtà non la conosco così bene. Tanto per farle un esmepio, nei quattro anni di università sono stata solo due volte a Hankou (vasta area urbana e porto fluviale situata sulla riva sinistra del fiume Han presso la sua confluenza con il Fiume Azzurro. È la più grande delle tre antiche città (le altre due sono Hanyang e Wuchang) che attualmente costituiscono la conurbazione di Wuhan, N.d.T.). Alla Hongshan Assembly Hall, situata presso il Fruit Lake a Wuchang, ci sono stata solo un paio di volte. Non parlo neanche il dialetto locale, anche se lo capisco. Nel 2004 sono tornata a lavorare a Wuhan ma i miei unici spostamenti erano casa e lavoro. Un anno dopo ho comprato un appartamento a Hankou, ma non ci sono quasi mai stata. Abito perlopiù a Pechino. Non mi sono mai abituata al clima di Wuhan. Non essendoci i riscaldamenti centralizzati, d’inverno si muore di freddo. Un anno sono andata per lavoro, dopo aver concluso una riunione sono rimasta a casa una mezz’oretta e mi sono congelata. D’estate invece fa un caldo allucinante.
Nella sua carriera, fino ad oggi, ha scritto un totale di ventiquattro opere, tra romanzi e racconti e altri quattordici libri di sanwen (prose brevi di argomento molto libero in cui l’autore esprime le sue valutazioni su fatti accaduti o descrive persone o ambienti a lui familiari). Per ogni scrittore i libri sono come figli, vorrei comunque chiederle se c’è un libro, o più di uno, che le sta particolarmente a cuore.
Così tanti? Sicuramente alcuni volumi sono delle semplici raccolte, quindi non li considererei opere a se stanti. Ho scritto nove romanzi. Quello che mi sta più a cuore è Drifting in Beijing (Bei qu lai ci, 2013, inedito in Italia). È un romanzo di 400 mila caratteri ed è stato riedito nel 2018. Grazie a quest’opera ho ricevuto il Lao She Literary Award, il Biennial People’s Literature Prize e il October Literature Award. È stato nominato uno dei cinque migliori romanzi del 2013, è entrato nella classifica di Sina Books dei dieci migliori libri oltreché nelle prime dieci nomination per il Maodun Literature Prize.
La guerra di una persona sola (Yi ge ren de zhanzheng, inedito in Italia) è considerato uno dei suoi lavori più rappresentativi. Alcuni critici accostano la sua opera al romanzo Vita privata di Chen Ran. Che ne pensa?
Siamo due fiumi che scorrono parallelamente.
Alcuni critici letterari hanno riscontrato delle somiglianze tra le sue opere e quelle di Xiao Hong. È d’accordo?
Un tempo mi piaceva molto Xiao Hong. Adesso sono tanti anni che non leggo suoi libri. Credo che il libro Racconti del fiume Hulan (Hulanhe zhuan, inedito in Italia) sia un’opera formidabile. Ovvio non mi paragono a lei.
Ne La guerra di una persona sola usa sia la narrazione in prima che in terza persona. Eppure in certo modo è sempre lei la vera protagonista del romanzo. Con questa tecnica narrativa, vuole forse sottolineare la poliedricità di ogni individuo?
In realtà quando scrivo non mi metto a riflettere sulle tecniche narrative. Il passaggio da narrazione in prima a terza persona avviene in maniera del tutto spontanea e naturale.
Vorrei parlare un po’ del romanzo La panca nel loggiato (1993) (Halley editrice, 2006, trad. Silvia Pozzi). Questo libro si concentra sulla storia tra Zhu Liang e Qi Ye. Il rapporto tra queste due donne è seducente e misterioso. È una storia disperata e conturbante di due donne che si appartengono. Molti lettori ci hanno letto un rapporto velatamente omoaffettivo tra le due. Le va di raccontare la storia per quei lettori che non hanno ancora avuto il piacere di leggere questo romanzo e da cosa ha tratto ispirazione?
Intanto ci tengo a precisare che non è un romanzo autobiografico. Nel 1992 mi sono recata nella provincia dello Yunnan e sono passata accanto a un palazzo antiquato. Mi hanno raccontato che un tempo vi risiedevano persone facoltose, per cui sono entrata a curiosare. Era vuoto. Qualcuno mi ha detto che ormai veniva usato come un ufficio per le miniere di sale. Era di domenica, per quello non c’era nessuno. Vidi due colonne sulle quali era scritto “cibo e vestiti per tutti”. La guida locale mi disse che il proprietario terriero era stato appassionato dei libri di Marx e credeva nel comunismo. Mi sono bastate queste parole per sviluppare la trama del romanzo. Sia i personaggi che la storia sono frutto della mia fantasia.
Vorrei farle una domanda un po’ provocatoria, se me lo concede. Perché nei suoi romanzi l’omoaffettività (od omosessualità che dir si voglia) pare essere uno dei temi fondamentali? Al momento sto traducento Zhu Tianwen. Anche lei è una scrittrice donna eterosessuale che riesce a dar voce a protagonisti omosessuali in modo del tutto egregio e convincente. Dipende dalla vostra sensibilità, dalla capacità di osservazione nei confronti del mondo o da cos’altro?
Me lo sono chiesto anch’io. Sembra che le donne omosessuali abbiano una propensione nei miei confronti. Spesso accade che io diventi l’oggetto del loro desiderio. Non riesco ad immaginare cosa sia ad attrarle o cosa sia ad innescare il loro interesse. Lo dico sul serio. Ho varie amiche lesbiche che si sono prese una cotta per me. Forse scriverne deriva da un mio disagio di fondo. In quanto non so mai come comportarmi in queste situazioni.
Le va di dire due parole a proposito di Registrazioni di chiacchiere femminili (Fùnǚ xiánliáo lù, inedito in Italia)? Da questo libro si evince che non comprendiamo davvero la campagna di oggi: le questioni di genere, la disintegrazione della morale, la posizione della donna… Anche in campagna la cultura feudale non è immune all’impatto degli elementi apportati dall’esterno. Le va di raccontarci qualcosa sulla campagna cinese al giorno d’oggi?
Come ha giustamente osservato, Registrazioni di chiacchiere femminili presenta alcuni aspetti della campagna al giorno d’oggi. In realtà la campagna è presente in molti romanzi cinesi, anche se la maggior parte si concentra sugli anni Cinquanta, Sessante e Settanta. La campagna è molto diversa ora rispetto al passato. Per quanto riguarda il libro Registrazioni di chiacchiere femminili, devo dire che ha ricevuto un ottimo giudizio da parte della critica e gli è stato conferito un posto importante nella storia della scrittura femminista, non certo inferiore rispetto a La guerra di una persona sola.
A tutti coloro che vorrebbero cominciare a leggere le sue opere o avvicinarsi alla sua produzione letteraria, da quale libro consiglierebbe di iniziare? Qual è il suo consiglio?
Il mio consiglio è di iniziare da La guerra di una persona sola. Purtroppo non è ancora stato tradotto in italiano. Non è molto lungo e come lettura scorre bene.
*Riccardo Moratto è sinologo e professore associato presso la Hunan Normal University.
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