L’impotenza della depressione dietro il «sovranismo psichico»
Verità nascoste La rubrica settimanale a cura di Sarantis Thanopulos
Verità nascoste La rubrica settimanale a cura di Sarantis Thanopulos
Fabio Ciaramelli: Dietro il «sovranismo psichico» che secondo il Censis colpisce un paese impoverito e incattivito si lascia riconoscere la depressione, un disagio che non si riferisce più solo a un vissuto individuale ma diventa la cifra di una diffusa esperienza sociale.
Ovviamente, in una fase recessiva come quella in cui stiamo per entrare, la crisi economica è fondamentale, ma è la sua percezione come orizzonte insuperabile dell’esistenza a produrre la conseguenza decisiva: una perdita di motivazione generalizzata, il dilagare di disinteresse e indifferenza. Ed è a questo punto che s’impone il ripiegamento nel privato, che però non è una soluzione, ma solo un modo per leccarsi le ferite, per edulcorare la propria impotenza.
Infatti nessun potere («sovrano» o meno che sia) può originarsi da un malessere che, per quanto generalizzato, resta autoreferenziale. Al contrario, solo investendo le proprie energie in progetti comuni e condivisi si può uscire dalle pastoie della depressione.
Sarantis Thanopulos: Con la formula «sovranismo psichico», si intendeva definire una reazione psicologica dissociata dalla configurazione politica di una «sovranità nazionale».
In realtà la sovranità politica corrisponde sempre a un assetto psichico collettivo. Tale assetto è difensivo quando il potere gestisce bisogni, ed è quindi oligarchico, esclusivo, mentre è aperto alla vita quando la sovranità politica è fondata sui desideri ed è democratica, inclusiva.
la sovranità popolare nell’ambito di una nazione ha nel passato ampliato il potere politico ai senza diritti.
Oggi che l’evoluzione storica porta l’umanità oltre i confini nazionali, il «sovranismo» è un fenomeno regressivo di origine, sono d’accordo con te, depressiva. La xenofobia (che si estende dai migranti ai «meteci») ha una funzione antidepressiva, mobilita energie «vitalizzanti» contro un pericolo esterno da arginare.
La permanenza nella trappola dell’inerzia performante (l’eccitazione maniacale di rigetto dello «straniero» che sostituisce la capacità progettuale collettiva), porterà alla paranoia: la proiezione della minaccia interna, proveniente dalla morte della propria affettività profonda, nel «diverso» (migrante o indigeno che esso sia).
Ciaramelli: La situazione che tu descrivi è forse la cifra del nostro tempo. Essa appare caratterizzata da una vera e propria ipertrofia delle privatizzazioni che, ben oltre la sola sfera economica, finisce col privare gli individui della possibilità stessa di investire le proprie energie in oggetti socialmente valorizzati.
Ma «ciò che è precluso al simbolico, ritorna nel reale» (Lacan). Perciò la depressione strisciante di cui parlavo prima, lungi dal risultare immobilizzante, è in realtà pericolosamente reattiva.
Non c’è allora da stupirsi se essa produce collera e violenza, allergiche a ogni progetto.
Ed è esattamente su questo piano che bisognerebbe lavorare, perché solo attraverso l’elaborazione di contenuti condivisi sarà possibile ricostruire lo spazio pubblico in quanto luogo simbolico ed effettivo d’una convivenza democratica tra diversi.
Thanopulos: Siamo in una crisi della convivenza tra democrazia e capitalismo che, in assenza di un sbocco radicalmente trasformativo, deprime e genera rabbia reattiva. Il rischio più grave del «sovranismo», tuttavia, è l’invenzione di un paradiso perduto, che la libertà degli scambi tra le differenze avrebbe corrotto.
Questa invenzione, sostitutiva del lutto che la democrazia dei diversi (portando oltre le vecchie certezze e privilegi) esige, proietta un passato mai esistito nel futuro e disincarna la significazione della vita reale, distruggendola.
Combatterla è necessario.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento