«Buffoni, buffoni» è il coro che alcuni cittadini hanno scandito ieri mattina durante il Consiglio regionale ligure, il primo dopo l’arresto del governatore Toti, ai domiciliari. Presenti in aula i consiglieri della Lista Toti Stefano Anzalone e Domenico Cianci, entrambi indagati. Dalla maggioranza gli ovvi attestati di vicinanza al presidente sospeso. «Questa legislatura è finita» ha dichiarato invece il civico battuto da Toti, Ferruccio Sansa: «’La diga da 1,3 miliardi è per Spinelli’, chi intercettato fa questa dichiarazione non può più guidare la regione». Da questo lato della barricata la posizione è «dimettetevi e andiamo al voto», dall’altro «si va avanti».

Ma la discussione vera, ormai, è solo sui tempi delle dimissioni, dopo l’interrogatorio di garanzia. Secondo l’accusa, Anzalone sarebbe stato uno dei tre consiglieri che avrebbero beneficiato delle preferenze della comunità riesina, con il presunto coinvolgimento di figure vicine al clan mafioso Cammarata. Cianci ha dichiarato: «Tanta gente millanta. Vedremo i risultati». Nelle intercettazioni viene chiamato in causa per non aver mantenuto presunte promesse in cambio di preferenze alle regionali 2020. Dalle conversazioni, inoltre, è partito un altro filone su possibili frodi per la fornitura di mascherine nel primo periodo pandemico.

Ieri la procura di Genova ha aperto un fascicolo per rivelazione di segreto d’ufficio. È il 30 settembre 2020. I fratelli Arturo Angelo e Italo Maurizio Testa, iscritti a Forza Italia in Lombardia e da lunedì sospesi dal partito, vengono a Genova per incontrare la comunità riesina. A quell’incontro si avvicina un uomo: «Viene riconosciuto in Umberto Lo Grasso (consigliere comunale totiano) che dice a Italo: ‘Vedi che stanno indagando, non fate nomi e non parlate al telefono». La replica: «Lo so, non ti preoccupare, l’ho stutato (spento, ndr)». Chi ha avvisato Lo Grasso? forse una talpa visto che Anzalone è un ex poliziotto. Oppure Anzalone l’ha detto per allontanare i Testa e non onorare le promesse.

I gemelli non si sono interessati solo della Liguria ma anche del voto in Lombardia e Piemonte, in particolare delle amministrative di Treviglio, Torino e Genova. Il deputato Alessandro Sorte chiama Arturo Testa: «La tua comunità com’è messa a Torino?», la replica «come a Genova, uguale, 15mila sono a Genova e 15mila a Torino». E Sorte: «Allora puoi cominciare a muoverti». Arturo Testa alla gip ha spiegato: «Non abbiamo mai chiesto posti di lavoro». Il fratello Italo non ha risposto ma ha depositato un documento per dimostrare che i politici di qualsiasi schieramento avevano rapporti con i riesini: nella missiva la candidata sindaca Pd Marta Vincenzi, poi eletta, auspicava un nuovo processo di integrazione tra genovesi e non, augurando il successo alla loro associazione. La risposta dell’ex sindaca: «Una cosa è ringraziare, un’altra prendere soldi».

Toti ha chiesto di essere ascoltato, il suo avvocato abbozza una replica all’imprenditore del porto di Genova, Spinelli, che aveva scaricato le responsabilità. Il legale: «Se avesse detto che Toti ha fatto delle promesse e poi non le ha mantenute è la dimostrazione che non c’era collusione. Magari Spinelli aveva degli altri canali. Comunque il presidente ha agito soltanto per evitare che in porto nascesse la guerra tra terminalisti, nell’interesse pubblico». La premier Meloni: «Toti ha detto che avrebbe letto le carte e avrebbe dato le risposte. Aspettare quelle risposte è il minimo». Dimissioni, quindi, ma non subito. Ma dalle carte emerge un altro affare sospetto: al centro Luigi Alberto Amico, titolare di un’azienda di ristrutturazioni superyacht. Voleva incontrare Toti «per trovare un accordo con Ente Bacini per la gestione del Bacino 1». Il capo di gabinetto del governatore lasciava intendere di poter attingere ai 5 milioni all’anno dai 30 del Pnrr: «Chi se ne accorge?».