Due regolamenti di grande rilievo sono stati approvati ieri dall’Eurocamera, riunita in seduta plenaria a Strasburgo, e sono così pronti a diventare legge per tutti i Paesi Ue nel corso dei prossimi mesi. Si tratta dell’Artificial Intelligence Act e del Media Freedom Act, che normano rispettivamente l’intelligenza artificiale e la libertà della stampa e dei giornalisti. Nel primo caso è una prima volta a livello globale, nel secondo di un inizio di normativa comune ai 27, in una Ue che ha visto in passato e continua a vedere oggi casi di concentrazioni proprietarie e di controllo governativo sui mezzi di informazione.

PER LA LEGGE SULLA LIBERTÀ dei mezzi di informazione il via libera è arrivato con 464 a favore, 93 contro e 65 astenuti. Divisi gli eurodeputati italiani del centrodestra: se Fi (nel gruppo Ppe) ha dato il proprio appoggio, si sono astenuti gli esponenti di Lega e FdI, ma i rispettivi gruppi parlamentari sono andati in ordine sparso. Per Identità e democrazia (Id), quello della Lega, si sono infatti espressi contro sia le delegazioni della tedesca AfD che quella del partito di Le Pen, mentre una decina di sì sono arrivati dalla compagine dei Conservatori e Riformisti (Ecr), il gruppo presieduto da Giorgia Meloni.

Il perché dello scetticismo della destra sta tutto nei punti più discussi della legge. Il regolamento votato ieri prevede garanzie a tutela del pluralismo dei media, come la trasparenza della proprietà dei mezzi di informazione e il divieto di ingerenza o controllo da parte del governo sui giornalisti del servizio pubblico nei 27 paesi Ue. «Dobbiamo cambiare la governance della Rai. Ce lo chiede l’Europa, non ci sono più scuse» commentano a caldo sul versante nazionale Sandro Ruotolo e Stefano Graziano, rispettivamente responsabile informazione Pd e capogruppo Pd in commissione di Vigilanza Rai.

Ma è stata la possibilità di usare software spia per controllare la libertà dei giornalisti ad aver rappresentato uno degli scogli principali che ha dovuto superare il Media Freedom Act nella fase di negoziato tra Parlamento e Consiglio. Nella versione finale è espressamente vietato l’utilizzo di forme coercitive da parte dell’autorità per obbligare i cronisti a rivelare le loro fonti. No quindi a perquisizioni, multe, e soprattutto agli spyware che in passato sono stati usati in diversi paesi europei come Francia, Grecia e Ungheria sui dispositivi di giornalisti di opposizione. L’uso dei software spia sarà infatti consentito solo nell’ambito di indagini su reati gravi, e in ogni caso gli interessati potranno essere informati dopo la fase di sorveglianza e potranno ricorrere in tribunale.

NELLA STESSA SEDUTA, l’Aula ha approvato, stavolta con maggioranza più ampia (523 a favore, 46 contrari e 49 astensioni) le regole sull’Intelligenza artificiale. «Il parlamento è stato unito nel negoziare con il Consiglio e il testo finale include moltissime delle nostre priorità», ha sottolineato il relatore della legge, l’europarlamentare Pd Brando Benifei. «Ci sono maggiori e più stringenti divieti sugli usi più pericolosi, dall’obbligo di valutazione d’impatto sui diritti fondamentali, alla protezione dei lavoratori, della democrazia e dell’ambiente, fino alla regolamentazione dei grandi modelli e la riconoscibilità dei deepfakes, così come la trasparenza sui contenuti coperti da copyright a tutela di artisti e giornalisti». Poi ha invitato l’Italia a lavorare seriamente per l’applicazione del provvedimento, dato che «Meloni continua a promettere investimenti, ma i soldi non si vedono».

LA PRESIDENTE del Consiglio, durante un incontro a Trento con l’omologo giapponese Kishida lo scorso febbraio, aveva manifestato l’interesse rispetto al tema annunciando l’intenzione di voler convocare una riunione del G7 proprio sul tema dell’intelligenza artificiale.

MA ANCHE NEL CASO di questo regolamento, le controversie non mancano. Alla vigilia del voto, il think-tank Corporate Europe Observatory ha pubblicato un rapporto in cui si dettagliavano le responsabilità dell’ammorbidimento della legge da parte da parte delle star-tup europee del settore Ai, la francese Mistral e la tedesca Aleph Alpha, insieme ai giganti del Tech (Google, OpenAi, Microsoft).
Perplessità sulla versione finale del regolamento sono state espresse dalla delegazione M5S al Parlamento europeo, che infatti si è astenuta. «Il testo che è emerso rischia di essere più dannoso che utile. Le definizioni sono troppo vaghe, la ‘misurabilità’ dell’intelligenza artificiale è una chimera e l’Ai Act si sovrappone, in alcune parti, ad altre norme europee, andando anche in contraddizione», osserva l’eurodeputata M5S Sabrina Pignedoli.