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Liberismo e stregoneria, in Tanzania albini senza pace

Liberismo e stregoneria, in Tanzania albini senza paceMoshi, Tanzania. Un ragazzo albino non vedente impara il Braille in una scuola primaria per disabili; sotto al Shaimaa Kwegyir, prima deputata con albinismo – Ansa

«Uccisioni rituali» Numeri choc malgrado le campagne di informazione. Retata di "guaritori" dopo l’ultima strage di bambini. Il ruolo nefasto della crisi

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 17 marzo 2019

L’albinismo è un disturbo non contagioso e geneticamente ereditato che colpisce nel mondo circa una persona su 20 mila, ma in Tanzania gli albini sono 1 su 1.400 e oltre agli effetti del sole vivono esposti a condizioni di emarginazione e pericolo costante. C’è chi ritiene che gli albini siano come dei fantasma (zeru zeru) e come tali non possono morire, ma si dissolvono o scompaiono con il vento e la pioggia: sono magici. Di conseguenza, in alcune comunità, gli albini sono stati temuti, evitati e socialmente emarginati.

LA TANZANIA è lo Stato con il più alto tasso di albini al mondo, circa 30 mila persone (in realtà secondo l’Associazione degli albini sarebbero più di 150.000, ma molti verrebbero tenuti nascosti dalle famiglie a causa dello stigma e per il timore di subire attacchi) sono colpite da un’anomalia congenita che non permette al corpo di produrre melanina, ma è anche il Paese dove gli omicidi per i neri dalla pelle chiara sono più frequenti: 88 le persone uccise solo nel 2018, 69 gravemente ferite. Nell’Africa subsahariana secondo le Nazioni unite, negli ultimi dieci anni oltre 500 persone affette da albinismo sono state uccise, mutilate o gravemente traumatizzate in seguito agli attacchi subiti.

Le uccisioni sarebbero legate a rituali tradizionali: il corpo degli albini servirebbe come amuleto e garantirebbe ad esempio ai minatori del Sukumaland di individuare le vene aurifere. Infatti la maggior parte degli omicidi di questo tipo avviene nel nord-ovest della Tanzania, epicentro dell’attività mineraria e patria del popolo Sukuma.

LA STORIA, tuttavia, non è semplice e lineare, c’è secondo la ricercatrice Jean Burke, la perdita della coesione sociale, la migrazione interna che ha destabilizzato l’economia e la politica di diverse regioni, il mantra della ricchezza che si sposa con le pozioni dei waganga (guaritori): poveri che cercano la ricchezza attraverso altri poveri in un’area dove la terra è sempre meno fertile sono arrivate le licenze minerarie e la febbre dell’oro.

Eppure dato che singole parti del corpo vengono vendute a 2 mila dollari, appare improbabile che ad acquistare gli amuleti siano poveri minatori in cerca di fortuna in un Paese dove il 70% della popolazione vive con meno di 2 dollari al giorno.
Ma perché queste pratiche sono così diffuse in Tanzania? Secondo gli alcuni antropologi come Sanders l’inizio del fenomeno si può far risalire alla liberalizzazione economica imposta da Banca mondiale e Fondo monetario internazionale per gli effetti che queste hanno avuto sulla popolazione.

Sarebbero l’incertezza e la crisi, più che il retaggio culturale, a dare impulso alle pratiche dei waganga che avrebbero la funzione di ridurre l’incertezza dell’esistere di fronte ai cambiamenti in atto. Infatti, già l’antropologo Edward Evans-Pritchard negli anni ’30 aveva rilevato che «le pratiche rituali sono un vero e proprio sistema di pensiero, che consente di fare fronte alle incertezze dell’esistenza umana e permettono di ricostituire forme di alleanza e di solidarietà».

TORNANDO ALL’OGGI, nei primi giorni di marzo la polizia ha arrestato 65 “guaritori tradizionali” in connessione con l’uccisione rituale di almeno 10 bambini. I bambini sono stati uccisi a gennaio e i loro corpi sono stati evirati delle parti necessarie per gli “amuleti”. Tra loro Goodluck Mfugale di soli 5 anni e tra le persone affette da albinismo c’è chi, come Grace, non capisce: «Perché le persone dovrebbero darmi la caccia come se fossi un animale da mangiare?». L’ispettore generale della polizia, Simon Sirro, ha ordinato che tutti i guaritori tradizionale ottengano una licenza che permetta loro di esercitare il mestiere.

IL PROBLEMA delle persone affette da albinismo tuttavia non sono “solo” gli omicidi, vi sono problemi di vita quotidiana relativi alla scuola e ai suoi costi, alla necessità di occhiali solari, creme per prevenire il cancro (secondo Jon Beale di Standing Voice, una ong britannica, in Tanzania il 98% delle persone con albinismo muore prima dei 35 anni a causa di tumori alla pelle), fino ad arrivare al lavoro, aspetti sui quali le agenzie internazionali e il governo stanno intervenendo in modo crescente.

Nel 2008 il presidente Jakaya Kikwete ha nominato membro del parlamento una donna albina, al Shaimaa Kwegyir, nel tentativo di influenzare positivamente gli atteggiamenti pubblici nei confronti degli albini. Due anni dopo in effetti è arrivato in parlamento, stavolta per effetto del voto popolare, un altro esponente politico (dell’opposizione) albino, Salum Khalfan Barwany. Peccato però che pochi mesi dopo l’insediamento abbia ricevuto informazioni – confermate dalla polizia – sull’esistenza di un piano paramilitare per ucciderlo.

SONO STATE FATTE nel frattempo campagne internazionali di sensibilizzazione che hanno aumentato l’informazione nei villaggi e nelle città di tutta la Tanzania. Non sono mancati i concorsi di bellezza e le sfilate di moda, ma soprattutto si è lavorato per far crescere la consapevolezza degli stessi albini. Mama Jacinta spiega che quando passa per le strade e sente le persone che la indicano come mzungu (persona bianca) o come dili (affare), lei si ferma e cerca di spiegare che è una donna normale.

La crescente visibilità sta indubbiamente riducendo i livelli di pericolosità per le persone affette da albinismo, ma la promessa di miracoli futuri è solo all’inizio.

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