L’Etiopia a fine dicembre è entrata nello stato di default per il mancato pagamento di una cedola da 33 milioni di dollari su un’obbligazione da un miliardo. È il terzo paese africano a finire in insolvenza per il suo debito estero dopo la crisi del Covid, dopo Zambia (2020) e Ghana (2022) che hanno avviato percorsi di ristrutturazione del debito attraverso il Common Framework, iniziativa coordinata dal G20 per accordare soluzioni «sostenibili» ai paesi con reddito basso e alti livelli di indebitamento.

Solo lo scorso novembre l’Etiopia aveva raggiunto un accordo di principio con i creditori bilaterali per una sospensione provvisoria del debito e una conseguente ristrutturazione per un miliardo di dollari, ma non è stato sufficiente a evitare l’inadempienza del pagamento.

L’ECONOMIA etiope è sotto pressione a causa di inflazione a due cifre, significativo calo delle esportazioni, quindi carenza di valuta forte, deprezzamento del tasso di cambio ufficiale, interessi sui prestiti che crescono, nonostante si sia arrivati a porre fine (già da un anno) alla guerra interna con i ribelli del Tigray. A cui però si sono sovrapposte violente tensioni nella regione di Amhara, da mesi al centro di scontri tra esercito etiope e milizia Amhara (nota come Fano) portando il governo a dichiarare lo stato di emergenza.

Anche nella grande regione di Oromia sono continuate le violenze tra gli insorti dell’Oromo Liberation Army (Ola) e l’esercito etiope a cui si sovrappongo gli scontri tra milizie Amhara e Oromo: «Una crescente lotta di potere tra i politici delle due più grandi regioni dell’Etiopia minaccia disordini ancora più ampi e persino una guerra civile a livello nazionale», secondo l’International Crisis Group.

Poi da ottobre è entrata in scena un’altra questione che per il premier etiope Abiy Ahmed è «una esistenziale per l’Etiopia»: l’accesso al mare. «Se non parliamo della questione del Mar Rosso, non parleremo nemmeno di grano, di ecologia, di tasse», aveva dichiarato il primo ministro rivolgendosi al presidente della confinante Eritrea.

Per settimane il paese ha viaggiato sul filo di una nuova guerra per consentire all’Etiopia l’accesso al porto eritreo di Assab sul Mar Rosso, che faceva parte dell’Etiopia fino all’indipendenza dell’Eritrea più di 30 anni fa. Tuttavia Abiy aveva negato dichiarando che «l’Etiopia non ha mai invaso nessun paese e non lo farà in futuro», ma sottolineando che l’accesso al mare era una priorità assoluta e o che «il Mar Rosso è il confine naturale dell’Etiopia, l’esistenza dell’Etiopia è legata al Mar Rosso, se noi (i paesi del Corno d’Africa) intendiamo vivere insieme in pace, dobbiamo trovare un modo per condividere il mare in modo equilibrato. Vogliamo ottenere un porto con mezzi pacifici. Se ciò fallisse, useremo la forza».

Un crescendo di tensioni da cui è venuto fuori un «capolavoro» diplomatico: lunedì Abiy Ahmed e il presidente del Somaliland, Muse Bihi Abdif, hanno firmato ad Addis Abeba un accordo per permettere all’Etiopia di avviare operazioni marittime commerciali e militari attraverso l’accesso al porto di Berbera sul Mar Rosso. In cambio l’Etiopia si impegna a essere il primo paese a riconoscere, a tempo debito, il Somaliland come nazione indipendente (è un territorio della Somalia autoproclamatosi indipendente nel 1991, ma senza il riconoscimento internazionale).

«QUESTO STORICO accordo garantisce alle forze navali etiopi l’accesso al mar Rosso in cambio del riconoscimento formale della repubblica del Somaliland, importante progresso diplomatico per il paese», ha detto il ministero degli esteri del Somaliland in un comunicato.

Un passo importante per l’Etiopia, a cui non si è fatta attendere la reazione della Somalia il cui governo ha dichiarato alla Reuters che «la scelta dell’Etiopia…mette in pericolo la stabilità e la pace della regione. L’accordo non ha alcun valore legale». Per il presidente somalo Hassan Sheikh Mohamud «nessuno ha il potere di regalare un pezzo della Somalia».

Intanto le strade di Hargeisa sono in festa, ma sia Stati uniti che l’Unione europea hanno sottolineato «l’importanza di rispettare l’unità, la sovranità e l’integrità territoriale della Repubblica federale di Somalia». La linea è sempre la stessa: i confini in Africa non si toccano. E se il mare calmo non fa diventare esperto il pescatore, un accordo non fa diventare l’Etiopia un paese sul mare.