L’Europa sotterra il Congo
L'inchiesta in tre puntate Malgrado le ambizioni, la nuova legislatura Ue sui minerali provenienti da zone di conflitto fa acqua da tutte le parti. Così i nostri telefoni continuano a finanziare atrocità in Africa
L'inchiesta in tre puntate Malgrado le ambizioni, la nuova legislatura Ue sui minerali provenienti da zone di conflitto fa acqua da tutte le parti. Così i nostri telefoni continuano a finanziare atrocità in Africa
In questa pagina potete leggere la prima puntata di un’inchiesta sulla relazione tra il dramma dei diritti umani violati nella Repubblica democratica del Congo, con le violenze croniche che hanno portato tra l’altro all’uccisione dell’ambasciatore Luca Attanasio, e i limiti della Direttiva europea che regolamenta l’importazione dei minerali provenienti da zone di conflitto. Un longform multimediale in tre capitoli che qui sul manifesto digitale è corredato di immagini e videointerviste. Con, tra gli altri, il ginecologo Denis Mukwege, Nobel per la pace 2018 per il lavoro svolto a supporto alle donne vittime di violenze.
Dal 1996 i cittadini e le cittadine della Repubblica democratica del Congo vengono uccisi in molti modi: dai generali dell’ex presidente Joseph Kabila e da una miriade di bande armate che infestano più regioni. Con l’uso dello stupro come arma di guerra per punire, deportare e umiliare le donne congolesi, le loro famiglie e comunità. Si stima che dal 1996 1200 donne vengano violentate ogni giorno.
Mentre 5,4 milioni sono i morti totali dal 1998 al 2008 stimati dalla Ong americana International Rescue Committee. Nel 2020 erano 5,5 milioni gli sfollati interni e 930 mila i rifugiati in fuga, come riporta Human Rights Watch.
Secondo l’organizzazione i diritti umani sotto il presidente Felix Tshisekedi «hanno subito una flessione nel 2020», nonostante i progressi ottenuti durante il suo primo anno in carica, con manifestanti pacifici, giornalisti e politici bersaglio della repressione e lo stato di emergenza imposto per la pandemia usato come pretesto per frenare le proteste.
L’ATTACCO MORTALE all’ambasciatore italiano Luca Attanasio in Congo nel febbraio del 2021 è una prima triste pagina che ha coinvolto un cittadino italiano nell’esercizio delle sue funzioni diplomatiche. Attanasio si trovava all’interno di un convoglio diretto a Rutshuru, nell’est del paese, per una missione del Programma alimentare mondiale dell’Onu. Ad oggi non si conoscono né esecutori né mandanti dell’omicidio, Le Forze democratiche per la liberazione del Ruanda (FdlR), accusate dal governo congolese dell’attacco, ma ne hanno preso le distanze condannandolo.
L’UNIONE EUROPEA DAL 2014 è al lavoro per cercare di prevenire questo tipo di situazioni in Paesi come il Congo, teatro di sistematica violazione di diritti umani e corruzione ma anche luogo di provenienza di minerali utili per la costruzione di prodotti come batterie, macchinari e prodotti tecnologici. Dal gennaio 2021 è in vigore il regolamento sulla cosiddetta «Dovuta diligenza» delle aziende importatrici di minerali da zone di conflitto che vanno spesso a finanziare i gruppi armati che detengono il potere sul territorio.
Una nota pubblicata dalla Commissione europea elenca attualmente 27 paesi, tra cui proprio la Repubblica democratica del Congo.
PRIMA DELL’APPROVAZIONE definitiva al Consiglio europeo nel 2017 le posizioni dei due principali gruppi al Parlamento europeo – centrodestra (il Partito Popolare europeo) e centrosinistra (il gruppo dei Socialisti e Democratici) – erano distanti. I primi erano per rispettare la volontarietà delle aziende al rispetto della cosiddetta Due Diligence, i secondi inizialmente erano a favore dell’obbligatorietà, che poi fu votata in Plenaria col supporto degli altri partiti. Ma il relatore del Ppe, Iuliu Winkler aveva dichiarato che «la certificazione obbligatoria potrebbe significare la perdita di posti di lavoro da entrambe le parti: aziende europee e comunità locali colpite nelle aree di conflitto». Invece secondo Maria Arena, relatrice ombra del gruppo S&D, «serviva più ambizione, era necessario sanzionare le aziende che non rispettano il regolamento Ue».
In fase di negoziati del trilogo col Consiglio Ue e la Commissione, le sanzioni non furono incluse nel testo definitivo.
LA NUOVA LEGISLAZIONE europea ha preso spunto dal Dodd-Frank Act, approvato nel 2010 negli Stati uniti, e riguarda un numero di aziende importatrici compreso fra 600 e 1000 e indirettamente circa 500 fonderie e raffinerie di stagno, tantalio, tungsteno e oro (i cosiddetti 3TGs), che abbiano o meno sede nell’Ue. L’obiettivo è quello di regolamentare l’importazione di quattro minerali specifici sul suolo europeo. Il cui approvvigionamento è da sempre stato critico in quanto finanzia i gruppi armati e favorisce le violazioni sistematiche di diritti umani. Tuttavia sono essenziali per molti prodotti elettronici presenti sul mercato, a partire dalle batterie dei telefoni cellulari.
Molte organizzazioni, però, già in fase di approvazione avevano trovato la direttiva ancora troppo debole. «Queste soglie di volume che esonerano le aziende dal conformarsi alla legislazione – afferma Nele Meyer dell’ufficio di rappresentanza di Amnesty International a Bruxelles – sono scappatoie pericolose. Potrebbero far entrare nell’Ue minerali per un valore di milioni di euro senza alcun controllo, spesso quelli con il più alto rischio di essere collegati a conflitti. Questa nuova legge è un primo passo in avanti, ma saranno necessarie ulteriori misure per garantire che tutte le aziende possano controllare adeguatamente le proprie catene di approvvigionamento».
MENTRE GLI STANDARD GLOBALI sul commercio di minerali richiedono a tutte le aziende di controllare le loro catene di approvvigionamento per finanziamento di conflitti o violazioni dei diritti umani, le disposizioni obbligatorie dell’Ue copriranno solo una piccola parte della catena di approvvigionamento. A dispetto della proposta più ambiziosa del Parlamento europeo, sono coperte solo le aziende che importano minerali in forme grezze. Quelle che importano gli stessi minerali all’interno di componenti o prodotti finiti sono esonerate. Nei negoziati gli Stati membri dell’Ue hanno anche spinto con successo per l’inclusione di una serie di soglie di importazione che ridurranno ulteriormente il numero di aziende tenute a conformarsi. Il campo di applicazione è quindi troppo ristretto.
OGGI, DOPO QUASI OTTO MESI da quando il regolamento europeo è in vigore, il giudizio del rapporto della Coalizione europea delle ong sui minerali dei conflitti è molto critico. In primis viene fatto notare che ci sono altri minerali oltre al 3TGs che tendono a supportare il finanziamento dei conflitti ma non sono inclusi nel regolamento. Tra questi il cobalto (di cui il Congo è terra del 60% delle riserve mondiali), la grafite, il litio e il nichel. Inoltre non è inclusa l’importazione di manufatti in Ue (come telefoni co macchinari), nonostante le pratiche di approvvigionamento ad alto rischio. Ad oggi, non esistono elenchi pubblici delle aziende importatrici (ad eccezione dell’Austria), ma solo una stima del loro numero per ogni Stato membro. Per l’Italia il rapporto stima che le aziende siano tra le 50 e le 100.
Infine anche le multe previste in caso di inadempienza sono disomogenee in tutta l’Ue. Il ministero dello Sviluppo economico italiano prevede sanzioni da 2 a 20 mila euro. Per il resto si va dai 726 euro dell’Austria ai 100 mila euro del Lussemburgo, o ai 1500 euro al giorno imposti dalla Francia).
FRANCESCA NOVELLA, policy advisor della ong Focsiv (Fondazione degli Organismi Cristiani per il Servizio Internazionale Volontario), denuncia l’assenza di trasparenza sui nomi delle aziende importatrici per motivi di privacy. Inoltre sostiene che la «disomogeneità dell’applicazione nei diversi Stati membri rende il regolamento debole». E aggiunge: «Non è detto che limite quantitativo delle importazioni vada a difendere i diritti umani. Senza l’obbligatorietà della pubblicazione di elenchi pubblici delle aziende importatrici non esiste un possibile danno reputazionale che sarebbe per le stesse molto più dannoso che Sostenere le spese per un sistema di controllo indipendente».
La catena di responsabilità che assicurerebbe ai consumatori europei che il telefono che hanno in mano è il prodotto di acquisti responsabili è quindi solo parziale. Quindi inefficace.
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