Il bilancio per ora è scarso. Nel documento finale del vertice dei capi di Stato e di governo l’Italia incassa il riconoscimento formale da parte dell’Unione europea di una specificità dei confini marittimi, e in particolare del Mediterraneo centrale. E’ quello che Giorgia Meloni chiedeva e infatti la premier fin dal suo arrivo ieri a Bruxelles parla di «passi in avanti» sull’immigrazione che sarebbero stati fatti rispetto al passato. Ma è tutto qui, perché cosa questo riconoscimento significhi davvero, se l’avvio di una nuova (e improbabile) missione navale europea o altro, è ancora tutto da capire. Verrà forse deciso in futuro ma con i tempi dell’Unione europea c’è da scommettere che non si tratta di un futuro prossimo.

Niente da fare invece per le altre questioni care alla premier italiana. Come la possibilità di avviare un programma di ricollocamento obbligatorio dei migranti oppure di arrivare alla definizione di un codice di condotta europeo per le navi delle ong. Su questo punto in particolare la presidente del parlamento europeo Roberta Metsola è stata chiara ricordando come esista già da venti anni una direttiva sul tema: «E’ uno di quegli strumenti – ha detto – che devono essere esaminati per vedere quando si parla di alto mare, quando si parla di domande di asilo e dove siano gli obblighi di ricerca e soccorso a seconda del luogo in cui avviene il salvataggio».

Detto questo va aggiunto che oggi più che mai l’Unione europea si sta attrezzando per blindare i suoi confini. Al punto che – fatta eccezione per le iniziative di singoli Stati (già 12 Stati hanno adottato muri ai propri confini) – per la prima volta dal 1989, anno della caduta del muro di Berlino, a Bruxelles l’idea di costruire a spese del bilancio Ue delle barriere che ostacolino l’arrivo dei migranti non viene più considerata improponibile, come avveniva fino a solo qualche mese fa, ma si sta facendo lentamente strada tra gli Stati anche se non manca chi, come la Francia, prova ancora ad oppongono. A spingere in questa direzione sono soprattutto Austria, Grecia, Ungheria Estonia, Lettonia, Danimarca, Lituania, Malta e Slovacchia che nei giorni scorsi hanno scritto ai presidenti di Commissione Consiglio chiedendo nuove e più rigide misure per contrastare gli ingressi illegali. E sulla possibilità di alzare nuove barriere è arrivato anche il via libera da parte di palazzo Chigi. «Proteggere i confini e una questione comune, non riguarda solo i Paesi che hanno i confini esterni. Dovremmo fare uno sforzo comune anche da parte della Commissione europea per proteggere questi confini», ha detto ieri la premier estone Kaja Kallas. Mentre il premier svedese Ulf Kristersson, presidente di turno dell’Ue, ha specificato che non si tratterebbe di vere e proprie barriere, bensì di «infrastrutture, equipaggiamento per la sorveglianza».

Ma non è solo una questione di muri e filo spinato. Comune ai leader europei è la richiesta di «una risposta europea» all’immigrazione, Risposta che si traduce in un aumento dei rimpatri, ma anche in politiche che facciano leva sui Paesi di origine e di transito perché fermino le partenze dei loro cittadini. Quindi aiuti economici a chi collabora, e restrizioni sui visti di ingresso per chi, invece, scegli di non cooperare. Una linea sulla quale l’unanimità è pressoché totale, con il cancelliere tedesco Olaf Scholz che chiede «politiche comuni» operative già da quest’anno e il presidente francese Emmanuel Macron che a sua volta sollecita «coerenza» per «ridurre la pressione migratoria».