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Lettera dalla Libia: «Ci stiamo consumando come candele»

Lettera dalla Libia: «Ci stiamo consumando come candele»Libia, nel centro di detenzione di Zawiya

Libia Testimonianza da un campo di prigionia per migranti in Libia: «Ci sentiamo abbandonati, molti di noi sono caduti in depressione, altri tentano la fuga per prendere la via del mare. Abbiamo casi di tentato suicidio, tra chi è qui da un anno e più»

Pubblicato quasi 5 anni faEdizione del 12 gennaio 2020

Circa 650 persone, donne e uomini di diverse nazionalità di cui 400 eritrei ed etiopi, viviamo costantemente nella paura, perché sentiamo continuamente spari nelle vicinanze, noi chiusi qui, senza protezione, senza vie di fuga in caso di attacco, rischiamo la vita.

Il nostro lager è usato anche come deposito di armi, questo fatto aumenta il rischio che diventiamo probabile obiettivo militare. Tra il 27 e il 28 dicembre 2019 hanno bombardato alcune strutture molte vicine al nostro, questo fatto aumenta il terrore che pervade tutti noi.

Dal punto di vista interno a questo lager, si può dire che viviamo in un porcile. Sono mesi che non riceviamo nulla per l’igiene personale, siamo costretti a bere acqua salata di cui non sappiamo la provenienza, problemi di salute sono all’ordine del giorno, i più gravi sono le persone colpite da Tbc, circa 40 persone, di cui dieci non hanno mai avuto nessuna assistenza, tre sono in condizione gravissime, di cui nessuno si sta prendendo cura, con il grave rischio di trasmettere a tutti noi la malattia.

Si erano affacciati per un attimo medici, circa un mese fa, poi non li abbiamo più visti. Noi abbiamo bisogno urgente di controlli medici, tutti, sopratutto che si prendano cura delle persone già in evidente stato di necessità, che li vediamo davanti a noi consumarsi, come se fossero delle candele arse dalla malattia, che li sta consumando da dentro.

Ora ci sentiamo abbandonati, molti di noi sono caduti in depressione, altri tentano la fuga per prendere la via del mare, tutto questo dalla disperazione in cui siamo lasciati a sopravvivere. Abbiamo casi di tentato suicidio, tra coloro che sono qui da un anno e più, costretti a spostarsi da un lager a un altro, senza vedere uno spiraglio per il loro futuro.

Poche settimane fa una donna malata che non ha trovato le cure è morta qui, anche una bambina di tre anni ha perso la vita dopo una caduta, per il mancato tempestivo soccorso è morta. Ecco da ogni punto di vista viviamo in pericolo costante, per non parlare delle privazioni, il degrado e le condizioni degradanti per la nostra dignità umana in cui siamo costretti a sopravvivere.

Chiediamo l’aiuto di tutte le istituzioni europee e delle agenzie umanitarie di mobilitarsi per trovare e mettere in atto un piano straordinario di evacuazione di queste persone vulnerabili che oggi si trovano nelle condizioni descritte dalle testimonianze che abbiamo raccolto. Ogni tentennamento e rinvio mette in pericolo la vita di centinaia di vite umane.

Testimonianza dalla Libia, ricevuta e diffusa da don Mussie Zerai, presidente dell’Agenzia di cooperazione per lo sviluppo Habeshia

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