Voglia di fuga tra Avola e la cima dell’Etna, per il ritorno del gruppo in Italia. Anche perché i ritardi sono risicati, e a farsi tutto il tragitto in avanscoperta c’è la possibilità non solo di guadagnarsi l’alloro di giornata, ma anche di vestirsi di rosa.
E in effetti questo succede: al termine di una tappa combattuta solo nella fuga, Kemna trionfa sul traguardo a braccia alzate, e Lopez Perez prende in affitto il simbolo del primato, in attesa che prima o poi i grandi si diano una smossa.
Partiti dal lungomare per il trasferimento verso Avola la spiaggia è fitta di tifosi. Ma il clima vacanziero subito si rompe, con l’inizio della bagarre per la fuga.

Dai e dai vanno via in quattordici, ed è tutta gente dalla pedalata robusta.
Si capisce subito che l’intenzione dei favoriti è di lasciare che gli evasi si giochino la tappa, facendo attenzione soltanto al rischio fuga-bidone: non sarebbe igienico lasciare lievitare il vantaggio di corridori che poi sarebbe rognoso spodestare.
E infatti i mandorli in fiore, i centri storici barocchi, i terrazzamenti coi tratturi che portano agli ovili diroccati in pietra bianca, il profumo degli aranci, i borri e i calanchi che scannano i boschi fitti di querce da sughero li attraversano a tutto spiano i fuggitivi e il gruppo dietro a loro. Il vantaggio arriva a dieci minuti, poi i gregari di Carapaz e Landa si mettono a tirare finché non si scende a distanze più gestibili. Chi rimane da subito tagliato fuori dalla sarabanda della tappa, e del Giro nel suo insieme, è Lopez. Tra i favoriti alla vigilia, il riacutizzarsi di un dolore alla coscia lo fa risalire in ammiraglia prima ancora di raggiungere il più vicino chiosco di granite. Cade in quei frangenti pure Yates, ma è roba di poco conto.

Tra chi si gioca la tappa il primo a rompere gli indugi, appena acchitata la salita, è Oldani, che quassù ha l’abitudine di svernare. Lopez Perez esce dal gruppetto degli immediati inseguitori su un tratto duro e supera l’italiano senza degnarlo di troppa considerazione. Un altro passo ha Kamna, quello del passista che sale senza strappi.
Quando i due si ricongiungono, per trovare l’accordo basta uno sguardo: tappa all’uno, si diceva, maglia all’altro. Più indietro nel frattempo si consumava una vicenda poco avvincente, magari, per il pubblico, ma dannosa sì. Perché in assenza di scatti la Ineos di Carapaz si limita ad amministrare, ma, in quello che è poco più di un tran tran quotidiano, prima Dumoulin, poi Nibali ci lasciano le penne, quando ancora la strada non è una lingua d’asfalto che si inerpica tra la pietra lavica. Succede questo e nulla più in 20 chilometri di salita. Attendiamo fiduciosi.