18,06%. Il risultato di Chega (letteralmente, Basta), il partito di estrema destra diventato terza forza elettorale in Portogallo non dovrebbe avere sorpreso. I sondaggi davano la formazione fondata da André Ventura nel 2019 costantemente tra 15 e 20 percento e la traiettoria di crescita, nelle elezioni degli ultimi anni, era costante. Eppure fa effetto. Ancora di più lo fa la pattuglia di 48 deputati, un quinto del parlamento, eletti.

Terzo partito a livello nazionale, Chega è andato forte in tutto il paese, rimanendo sopra il 15 percento in tutti i distretti elettorali. Ma è nel sud del paese che ha sfondato, risultando, con oltre il 27 percento, il primo partito nella regione dell’Algarve e secondo un po’ ovunque nella regione dell’Alentejo e nel distretto di Setúbal.

Setúbal, storica cintura industriale e parte meridionale della regione metropolitana di Lisbona, e Alentejo, regione rurale e poco popolata, hanno in comune l’essere stati storici bastioni del Partito comunista portoghese. Prima delle elezioni, effettivamente, c’era chi voleva attribuire ai comunisti la responsabilità del travaso di voti verso l’estrema destra. Un travaso che, però, era già stato smentito in passato dai flussi elettorali e che sarà quasi certamente smentito in queste elezioni dall’affluenza molto alta: Chega sembra semplicemente aver portato a votare molta gente che non votava.

Dobbiamo allargare lo sguardo all’Algarve per comprendere le radici economico politiche della avanzata della destra. Da sempre meta preferita del turismo inglese e tedesco, l’Algarve ha attraversato trasformazioni rapidissime, nell’ultimo decennio. La accelerazione della crescita turistica è andata di pari passo con una rapida urbanizzazione che sta fondamentalmente trasformando la regione in una area metropolitana multicentrica in assenza di qualsiasi politica di pianificazione territoriale. Un continuo di urbanizzazione, praticamente senza trasporti pubblici, in crescita costante ma profondamente diseguale e disequilibrata.

I problemi nazionali – l’esplosione del prezzo della casa, il crollo del potere d’acquisto, il collasso del servizio sanitario nazionale, particolarmente evidente nella scarsità di medici di base (quasi due milioni di portoghesi non ne hanno uno) – qui sono particolarmente acuti. Esempio paradigmatico, non ci sono abbastanza docenti nelle scuole pubbliche e quelli assunti spesso rinunciano a trasferirsi nella regione perché lo stipendio non basta per affittare una stanza (figurarsi comprare casa).

Quello che hanno in comune la parte più periferica della metropoli lisbonese, la grande regione rurale e l’emergente area metropolitana del turismo è il trovarsi, allo stesso tempo, al centro e al margine del “miracolo portoghese”: al centro, perché sono tutte aree in cui più profonde sono le trasformazioni del modello produttivo e urbano – il boom del turismo, l’esplosione dell’immobiliare, la industrializzazione dell’agricoltura con enormi flussi di lavoratori stagionali migranti; e al margine, perché poco o nulla di quel modello percola nei circuiti economici locali e nella vita di chi vive e risiede nelle tre regioni.

L’economia politica, si sa, non può spiegare tutto delle scelte politiche – Chega fa certamente leva sulle nostalgie reazionarie e fasciste che si annidano in tanti settori sociali del paese, da sud a nord. Eppure, è difficile non ammettere che, come avvisavano già da vari anni sia i movimenti sociali che i partiti di sinistra e la accademia critica, non solo erano molto instabili le basi su cui si è fondato il modello economico scelto dal Partito socialista; ma anche che uno sviluppo che non promuovesse un miglioramento delle condizioni di vita della popolazione si sarebbe rivoltato contro i suoi promotori.

Ecco, forse il problema non è tanto il boom della destra dopo 8 anni di governo socialista; ma che 8 anni di Partito socialista non ci abbiano lasciato un paese più pronto al ritorno delle politiche di destra.