L’esperienza dell’Isolotto,  laboratorio di utopie
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L’esperienza dell’Isolotto, laboratorio di utopie

Una scena da «Le chiavi di una storia» di Federico Micali

Doc Nel film di Federico Micali «Le chiavi di una storia - La Comunità dell'Isolotto», una esperienza rivoluzionaria da ricordare

Pubblicato più di un anno faEdizione del 25 febbraio 2023

Il documentario di Federico Micali Le chiavi di una storia – La Comunità dell’Isolotto nelle sale dal 23 febbraio racconta con testimonianze dei protagonisti, i giovani di allora, l’esperienza che sorse negli anni Sessanta e che, accanto alle tante altre fece di quel periodo un laboratorio di utopie.

In un luogo periferico di Firenze, dove nei primi anni cinquanta sorgevano case popolari, ma nessun servizio pubblico, un giorno arrivò un prete, don Enzo Mazzi, subito si fece chiamare Enzo per non creare distanza con la gente. Rendeva la messa un’assemblea di fedeli, spostando la posizione dell’altare, posizionandolo difronte alla gente, stabilendo la traduzione simultanea del latino. Un’altra novità rivoluzionaria fu che mise in mano ai fedeli la Bibbia, all’epoca considerato un libro «proibito» che necessitava di apposito imprimatur.
Enzo, che era stato compagno di seminario di don Milani e apparteneva a quel movimento religioso a cui appartenevano anche padre Balducci e Beruno Borghi, il primo prete operaio,progettava di diventare missionario, ma fu il cardinale Dalla Costa(quello che ordinò di chiudere tutte le porte e finestre dell’arcivescovado, quando Hitler arrivò in visita a Firenze), a inviarlo in quella zona di frontiera, di operai, disoccupati e rifugiati istriani. La prima cosa che disse appena arrivato fu «non si paga niente né per le messe né per le funzioni». Non si era mai sentita una cosa simile detta da un prete.

Il documentario ci accompagna nella costruzione di una comunità allargata e partecipe, senza leader, dove tutti erano ugiali, adulti e bambini, all’inizio con un piccolo gruppo di ragazzi, poi con tutta la partecipazione della comunità e con l’arrivo di un vicario, don Sergio, un cammino da compiere insieme sulla linea delle idee messe in moto dal Concilio Vaticano II. Così anche il maestro scendeva dalla cattedra e andava in mezzo alla classe, si tenevano corsi di recupero per ottenere il diploma, laboratori di cucito, case di accoglienza per gli orfani. L’Isolotto diventò punto di riferimento per gli operai della Galileo licenziati in massa, il punto di raccolta durante l’alluvione di Firenze, centro di innumerevoli iniziative affrontati dall’intera comunità. Il documentario segue tutte le tappe che portarono a mostrare come l’esperienza dell’Isolotto fosse diventata una minaccia per la Curia. L’occasione tra le altre fu l’occupazione del duomo di Parma da parte degli studenti alla notizia che si voleva costruire una chiesa («con i soldi delle banche che finanziavano le guerre»).

L’Isolotto si dimostrò solidale con l’occupazione, il cardinale Ermenegildo Florit (l’ala conservatrice del Vaticano II) chiese di ritrattare. Enzo (era l’ottobre del ’68) chiamò a discuterne l’assemblea e la decisione fu che si continuasse a testimoniare la «chiesa degli ultimi», una contestazione che richiamò in quella lontana periferia anche la stampa internazionale. Per culminare con l’occupazione della chiesa, la denuncia a preti e laici e in risposta l’autodenuncia di 900 persone della comunità, fino alla richiesta della curia di riconsegnare le chiavi della chiesa, a cui tutta la comunità rispose facendo tintinnare le loro chiavi di casa con il coro: «questa è casa mia». Una storia che non termina qui, come dimostra la comunità di base che ancora si riunisce, in qualche modo anche occultata e da riportare all’attenzione.

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