L’esordio di Franco: due mesi per cambiare il Recovery plan
L'Audizione Il ministro dell’Economia in senato: serve accelerare, puntiamo su riforme giustizia e Pa. Consulenza alla McKinsey: serve per preparare le slide, nessuna intromissione
L'Audizione Il ministro dell’Economia in senato: serve accelerare, puntiamo su riforme giustizia e Pa. Consulenza alla McKinsey: serve per preparare le slide, nessuna intromissione
La prima uscita parlamentare del ministro Daniele Franco dà la cifra del personaggio chiamato da Draghi a guidare il Mef e a gestire il Recovery plan. Un intervento scritto che viene letto da seduto con tono monocorde tipico veneto in cui le notizie – non poche in verità – erano scandite allo stesso modo dei passaggi più scontati.
NELL’AULA DEL SENATO USATA per ospitare l’audizione di ben sei commissioni parlamentari – Bilancio, Finanze e Politiche Ue di entrambe le camera – capita di tutto: problemi tecnici di connessione, presidenti di commissione che litigano fra di loro sull’ordine del giorno e la pertinenza degli interventi.
Ma Franco è impassibile. L’impressione è di una persona fin troppo responsabile che si sente investito di una missione da parte di Draghi e non vuole deluderne la fiducia. E che, rifuggendo per carattere le luci della ribalta, finita questa esperienza tornerà nell’ombra dove è sempre stato in questi anni, seppur con ruoli di rilievo.
Nella sostanza Franco ha annunciato che a causa dei tempi stretti – il Recovery plan va consegnato alla commissione europea entro aprile – il governo punta a modificare il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) rafforzando la sua struttura: «È la priorità per il Mef, per il governo, per il Paese», ha esordito.
BISOGNA COMUNQUE CORRERE e non c’è spazio per «battute d’arresto». L’obiettivo è presentare a Bruxelles un piano «ambizioso» ma «credibile e dettagliato», che potrà avere un impatto anche superiore al 3% del Pil se saranno realizzate le riforme, «a partire da giustizia e pubblica amministrazione», che – spiegherà dopo di lui l’ex ministro e ora sottosegretario alla presidenza del consiglio Enzo Amendola – «sono considerate determinanti dalla commissione Ue».
IL NOSTRO PAESE POTRÀ CONTARE su un po’ meno risorse di quante ipotizzate finora: 191,5 miliardi di fondi Recovery invece di 196 a causa della revisione della quota di prestiti sulla base dei dati riferiti, come da regolamento europeo, al 2019. Una cifra che potrebbe peraltro essere ancora rivista quando nel 2022 si chiuderà la valutazione sulla seconda tranche di finanziamenti, il 30% del totale, che sarà calcolata sull’andamento del Pil del 2020 e 2021. I progetti andranno quindi «tarati sulle risorse effettivamente disponibili» e bisognerà «riflettere» se rivedere la «distribuzione» tra progetti nuovi e già a bilancio. I primi soldi arriveranno «a fine estate».
SULLA CONSULENZA MCKINSEY nessun parlamentare affonda il colpo. Non c’è «nessuna intromissione nelle scelte» assicura Franco, solo un «supporto tecnico-operativo», nessuna struttura privata «ha accesso a informazioni privilegiate o riservate». Mckinsey, insomma, darà una mano su «produzione di cronoprogrammi, aspetti metodologici nella redazione del piano (le ormai famose slide, ndr), aspetti più editoriali che di sostanza».
Innovazione, ambiente e coesione restano infatti le linee guida del Piano che manterrà, spiega Franco, le 6 missioni individuate dal governo Conte: è in corso una valutazione «di quello che va conservato, perché fatto bene» e di quello che va invece «integrato e sviluppato», a partire dal dettaglio delle riforme.
Per questo va rafforzata subito la struttura che se ne dovrà occupare, mettendo in piedi «in tempi rapidi» anche un sistema di reclutamento «di giovani».
Se Franco promette che le risoluzioni votate a fine marzo dal parlamento saranno tenute in grande considerazione per la revisione del piano – grazie ad un dialogo «durevole e intenso» con le Camere – poco dopo si contraddice ammettendo che «ad aprile ci sarà una fase molto rapida e concitata» in cui servirà prendere decisioni in tempi brevi: nonè dunque detto che il testo finale del Pnrr passerà per un voto, come vorrebbero i partiti.
Rispetto alla continuità col suo predecessore Roberto Gualtieri, il nuovo inquilino del Mef non la ostenta. I numerosi cambiamenti nella squadra dei collaboratori porteranno a novità importanti ma non vengono ostentati. In molte parti del Pnrr e del prossimo decreto Sostegno ci sarà comunque grande continuità anche perché il lavoro di Gualtieri è giudicato positivamente da Franco, che anche sul Pnrr ieri ha sottolineato la «grande mole di lavoro» fatta.
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